Non è un segreto – neppure di Pulcinella – che l’informazione, di questi tempi, non se la passa troppo bene. Con informazione, qui, si vuole intendere il sistema mediatico più tradizionale – storico, se vogliamo – per la diffusione delle notizie: la stampa, il cui prodotto ultimo, il giornale, venne definito da Hegel nientemeno che “la preghiera del mattino dell’uomo moderno”. Con ciò, il filosofo attribuiva un carattere rituale, addirittura sacro, alla lettura del quotidiano, indispensabile alla cura intellettuale di un individuo inserito nel suo tempo così come la preghiera era stata essenziale alla pulizia spirituale degli uomini vissuti nei secoli precedenti.
Sarà forse perché oggi si prega poco, e il nutrimento intellettuale quotidiano assomiglia più alle pappe ingurgitate dagli astronauti che a un pasto consumato a un desco opportunamente apparecchiato, oppure perché il mattino, quando sorge, già contiene le notizie del suo presente ed è futile tentare di riempirlo con quelle del giorno prima, fatto sta che, come tanti messali abbandonati, i giornali circolano poco e vengono letti sempre meno. La stampa in cerca di salvezza, per continuare in futuro a offrire quel che ha di buono da offrire (e non è poco, a cominciare da una certa elaborazione ponderata dei fatti), è dunque oggi costretta ad affrontare una serie di serissimi problemi strutturali. Quali? Alla rinfusa: la sfida delle tecnologie digitali, i costi di produzione, il costante attacco obliquo e spesso calunnioso dei social, la perdita di credibilità in un orizzonte sul quale, non diciamo alla verità, ma neppure alla logica viene riservato un trattamento di riguardo.
E invece, no: il problema principale, a quanto pare, è un altro: evitare di offendere le persone costruendo i notiziari sulla base di un linguaggio purificato da ogni traccia di “sessismo”, perfettamente “inclusivo” e del tutto sgombro dal pericolo – Dio ce ne scampi – delle “micro-aggressioni”. E’ questa la ragione per cui ai giornalisti del Corriere della Sera – sì, proprio quel foglio che ha visto le firme di Indro Montanelli, Dino Buzzati, Eugenio Montale, Luigi Barzini, Alberto Cavallari, Giovanni Spadolini, Alberto Ronchey, Egisto Corradi, Piero Ottone e Pier Paolo Pasolini, giusto per citare un po’ a caso (con la “esse” e anche con altra consonante) – viene ora proposto un corso online per “imparare” a scrivere entro i margini, sempre più ristretti, del politicamente corretto, ovvero per evitare “l’uso del maschile sovraesteso”, aggirare i “gender bias” e camminare in punta di piedi sulle uova dell’attribuzione di genere.
Chi abbia deciso che entro questi limiti ogni sensibilità è salva e oltre, al contrario, si estende l’orrore dell’offesa, dell’inaccettabile e dell’indicibile, non è proprio chiaro. Bisognerebbe innanzitutto stabilire con precisione che cosa è “l’offesa” e in quale misura essa va evitata, così da proteggere i lettori da ogni possibile lesione psicologica salvando nel contempo la libertà di espressione dei giornalisti. Questo, però, chi impone i manuali e forgia le regole del politicamente corretto si guarda bene dal dichiararlo, perché altrimenti dovrebbe porre dei limiti al suo potere di censura e ammettere che, qualche volta, anche l’offesa – non l’insulto e tantomeno l’aggressione – contribuisce alla comprensione del mondo, ci scuote dall’apatia e stimolan perfino l’intelligenza. Inoltre, dovrebbe riconoscere che la sensibilità nei confronti del prossimo è una conquista personale, individuale e che, al di là delle regole imposte dalla buona educazione – ovvero quelle che suggeriscono di evitare i gomiti sul tavolo e gli indici nelle narici -, la gentilezza e il tratto affabile sono qualità ammirevoli quando spontanee, manifestazioni di un’autentica nobiltà interiore e non affrettate riverniciature superficiali.
I corsi online di politicamente corretto finiranno per impoverire ancora di più la lingua dei giornali, appiattirla come non mai, omologarla e convogliarla verso la trappola dell’autocensura. Ti saluto poi la preghiera del mattino: come si fa a osservare questo rito quando è sempre notte fonda e il mattino non sorge mai?