CONTRORDINE: A SCUOLA SERVE FILOSOFIA

Verso la fine degli anni Novanta, partecipai a un gruppo di lavoro internazionale, all’interno di un progetto didattico europeo, che si chiamava “Progetto Leonardo”. Naturalmente, non condividevo una virgola di quel grottesco coacervo di astrusità pseudo-formative, ma mi tirarono a bordo perché parlavo sia il francese che l’inglese e possedevo qualche giacca di buon taglio.

Paradossalmente, il tema in discussione era: “Jamais un jeune Européen sans projet de travail”. Dico paradossalmente perché il risultato di quella cacofonia di stupidaggini, in cui si saltellava da un concetto non meglio precisato di flessibilità fino a quell’autentico mantra didattichese che sono le cosiddette ‘competenze’, di cui nessuno è ancora riuscito a dare una definizione univoca e comprensibile, fu quello, semmai, di contribuire a lasciare i giovani Europei seduti sul marciapiede.

Perché la scuola deve formare cittadini e professionisti insieme: in altre parole, deve forgiare uomini, non burattini o, peggio ancora, macchine da lavoro. E lo deve fare educando, non istruendo: i due concetti, che possono sembrare quasi sinonimi, indicano, viceversa, due visioni del tutto antipodiche dell’umanità.

Educare significa tirare fuori quel che già esiste nel profondo, mentre istruire sottintende l’inserimento di qualcosa all’interno di qualcos’altro: in altre parole, un software dentro un hardware. L’uomo-cellula, la persona-meccanismo, non funziona: la scuola materialista e funzionalista è un pacco clamoroso. E la didattica per competenze è semplicemente l’ennesimo gioco di parole inventato dai prestigiatori della pubblica istruzione, per mascherare una verità tanto clamorosa quanto rivoluzionaria: si sono sbagliati su tutto, da decenni a questa parte. Il castello di carte che hanno messo in piedi vacilla, sotto i colpi devastanti della realtà.

La realtà è una scuola che non insegna, che non educa e che non forma: in altre parole, che ha fallito il proprio compito. Perfino quelli che, fino a poco tempo fa, appoggiavano le vestali della catastrofe, sembrerebbero averlo capito: al convegno su «Etica e intelligenza artificiale», organizzato a Venezia da Aspen Institute, insospettabili pezzi da Novanta del sistema Italia, come Francesco Profumo o Francesco Caio, hanno cominciato a parlare di intreccio tra tecnica e Umanesimo, tra abilità e pensiero critico. Perfino il Ministro Bianchi, che, più di una volta, ha mostrato di non distinguere una scuola da un distributore di benzina, oggi parla di introdurre lo studio della filosofia negli istituti tecnici.

Insomma, parrebbe che i tecnocrati abbiano capito che con la sola tecnocrazia dai ragazzi non si cava un ragno dal buco. E che quell’educazione che è andata avanti, rettilinea, per venticinque secoli, in fondo non era poi così male: Platone batte Azzolina tre a zero!

Certo, questo non vuol mica dire che, di colpo, a Viale Trastevere butteranno nella spazzatura quarant’anni di corbellerie, per mettersi a leggere Vittorino da Feltre: tuttavia, il fatto che in un contesto così prestigioso persone tanto influenti abbiano postulato la necessità di un deciso cambio di rotta induce a una riflessione.

Il mio timore è che, ammesso e non concesso che questa tendenza si confermi, buttino via, come al solito, il bambino insieme all’acqua sporca: ovvero che questa transizione verso una scuola totale, in cui techne e psyche vadano finalmente a braccetto, sia affidata agli stessi che ci hanno condotti sull’orlo del disastro educativo. Oppure che i boiardi del MIUR facciano muro, per evitare che un simile cambiamento li privi di gloria e di guiderdone. Insomma, non sono ottimista. Tuttavia, una fola piacevole è comunque meglio di una fola sgradevole: anche se sempre di fole si tratta.

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