Il premier Giuseppe Conte ha deciso di fare il salto di qualità: ha preso il telefono, ha chiamato la famiglia tatuata del Mulino Bianco e l’ha invitata – per favore ragazzi, ve lo chiedo in ginocchio – a sensibilizzare i giovani della movida, del pigiama party, del sushi corner e della birretta a canna per strada, a proteggersi dal Covid per non moltiplicare i contagi. Il prossimo passo potrebbe essere l’arruolamento di Salvatore Aranzulla, guru tecnico del web, per convincere a scaricare l’app Immuni, ma andiamo avanti.
Pare che il coinvolgimento di 32 milioni di follower in due (21 lei 11 lui) sia stato consigliato da Rocco Casalino e di sicuro l’iniziativa ha un suo senso compiuto dal punto di vista del marketing istituzionale. Se per raggiungere l’obiettivo questa è l’autostrada senza curve, è doveroso percorrerla.
Il gesto è in ogni caso estemporaneo e molto dibattuto, quindi si presta a un approfondimento, nel senso che due spunti in più male non fanno. Il primo riguarda Fedez, che nella storia su Instagram ha spiattellato al minuto zero la provenienza del consiglio. Rivelando la fonte (“Mi ha chiamato il premier Conte”) in teoria ha neutralizzato il messaggio, gli ha tolto spontaneità ed efficacia. Perché se è vero che molti dei 32 milioni di follower sono pronti a comprare la maglietta, frequentare il lago (non lo stesso albergo), mangiare il piatto che la coppia stracciovip consiglia, è possibile che siano più freddini se i loro guru social appaiono cooptati dal governo. Il meccanismo “mi ha detto di dirti” è tutto fuorché immediato, ha in sé una presa di distanza che potrebbe indurre il diciottenne a reagire con un delicato ”e allora chissenefrega”.
Per difendere la scelta strategica è stato giustamente ricordato che nel 1956 la copertura del vaccino antipolio negli Stati Uniti era modestissima, non più dello 0,5%, neanche la campagna fosse stata organizzata dal bisnonno di Hillary Clinton. Balzò all’80% degli americani quando vennero coinvolti alcuni testimonial dello spettacolo e dello sport; la vaccinazione in diretta Tv di Elvis Presley fece in assoluto la differenza.
Anche per questo bisogna riconoscere che nell’iniziativa di palazzo Chigi c’è una buona dose di realismo sociale. Rimane una perplessità di fondo, questo considerare i gggiovani degli emeriti sprovveduti. Sono gli stessi ai quali daremo in mano il futuro, gli stessi che mandiamo all’estero a conoscere il mondo (generazione Erasmus), gli stessi ai quali affidiamo i messaggi di speranza per il pianeta (generazione Greta), gli stessi ai quali intellettuali, sociologi, musicisti, artisti dedicano l’ultima fatica come se si trattasse di un testamento morale. Ecco, secondo il premier Conte, questi ragazzi in mezzo a una pandemia mondiale che dura da otto mesi non saprebbero ancora distinguere le indicazioni del ministro della Salute o del governatore della loro regione da una frasetta rap di Fedez.
Paternalistico. Ecco la parola che sfuggiva; il gesto ha in sé questo senso di concessione, di tentativo pop, come se un ventenne non fosse in grado di accettare un buon consiglio in famiglia, di leggere un articolo, di decrittare un grafico, perfino di ascoltare per due minuti in televisione un virogolo da talk show (di più è pornografia sanitaria).
Infine, la trovata odora di disperazione. Nel Paese che aveva quattro mesi di tempo per organizzare i trasporti e non l’ha fatto, per raddoppiare le terapie intensive e non l’ha fatto, per monitorare gli assembramenti seriamente e non l’ha fatto, far gridare all’allarme Fedez è da ultimo stadio. Con una certezza: l’imbecille del sabato sera non lo ascolterà.