Siamo di nuovo qui: crisi feroce, buio davanti, pure Draghi ridotto a straccio da pavimento, e un intero Paese appeso alle lune di una risibile minoranza, forze marginali e residuali che in un delirante sbocco di disperazione si avventurano senza pudori e senza scrupoli nella strategia del ricatto finale. Costi quel che costi, costi pure mandarci tutti alla malora. Stavolta ci è già costato dieci miliardi di crollo in Borsa, più si ipotizzano i trenta miliardi dall’Europa che perderemo per inadempimenti vari. Così, come prima nota spese, in attesa dell’indotto a medio termine.
In questo caso, il grazie va rivolto a Conte. Anche se, a dirla tutta, pare proprio che lui in prima persona e da solo non sia più in grado di decidere nemmeno se mangiarla in bianco o al sugo: in realtà, là dietro, a dettare la linea, ci sarebbe un triumvirato di geni della strategia politica più sofisticata, quel Rocco Casalino, ancora tu, ma non dovevamo vederci più, mannaggia a noi quando l’abbiamo fatto uscire dal Grande Fratello, e poi la suffragetta de noantri Taverna, nonchè il fedelissimo Ricciardi. Loro stringono il collare a Conte, Conte stringe il collare a Draghi, per la proprietà transitiva questa famigerata trimurti stringe il collare all’Italia già stretta di suo.
In soldoni, la banda dei tre o quattro ci sta costando quanto la siccità o il blocco del petrolio russo. Sarà anche volgare quantificare in questo modo brutale, ma teniamo presente che da troppo tempo ci hanno insegnato come la politica delle idee, degli ideali, delle ideologie sia ormai un fossile, adesso contano solo i risultati e le persone, dunque non facciamo i verginelli e quantifichiamo una volta di più, Conte e i suoi tre costano all’Italia un autentico sproposito. Un costo che nessuno sa se saremo in grado di onorare, tra parentesi.
Evviva la nuova politica. Evviva questo tragicomico gioco dell’oca che ci riporta sempre alla casella zero. Prima o dopo, finiamo sempre in mano alle lune strampalate di quelli che abbiamo sempre chiamato aghi della bilancia, cioè gli zero virgola che per circostanze malate detengono potere di vita e di morte, per tutti.
Bel risultato, alla fine dell’epopea bipolarista. Ci fu un tempo, anni Novanta, in cui io votavo – come sempre, come farei ancora, per sempre – il Partito repubblicano, uno dei cosiddetti partitini della vecchia politica. Ricordo in particolare lo zio Silvio di Arcore, cui tenevano bordone anche quelli dell’altra sponda, che si presentava alle Tribune politiche per ricoprimi – me e quelli come me – di disprezzo, parlando apertamente del mio voto come di un voto inutile, buttato nel water, persino pericoloso perchè portava all’instabilità, ma come si fa a non capire che l’Italia deve avviarsi nella dimensione moderna del bipolarismo, due blocchi contrapposti, uno comanda e uno fa opposizione, tutto molto semplice, in nome dell’efficienza e della stabilità facciamola finita con i ricatti insopportabili dei partitini inutili.
Rieccoci qui. Abbiamo costruito il bipolarismo e casualmente continuiamo ad avere più crisi di governo che Festival di Sanremo e Giri d’Italia (quelli, se non altro, uno all’anno). Bel risultato. Senza contare che quelli come lo zio Silvio, dopo averci insultati per anni e anni, adesso sono i teorici sopraffini del proporzionale. Ma lasciamo stare, non possiamo farli pure coerenti, via, sarebbe offensivo.
Dopo Renzi con Conte, subito Conte con Draghi. Cambia il secolo, cambia il millennio, ma è sempre la stessa Italia delle zanzare che fanno ballare l’elefante. Più sono piccoli e più fanno danni. L’insostenibile pesantezza del non essere.
I nostri nonni e i nostri padri, almeno, hanno potuto raccontare di Resistenza e di referendum Repubblica-Monarchia. Che racconteremo noi, scrivendo la storia nostra: che un giorno l’Italia andò allo sfascio per Rocco Casalino? Anche nel disastro, servirebbe una dignità. Non ci è rimasta nemmeno questa.