di SERGIO GHISLENI – Ricorda qualcuno la scritta luminosa che appariva sul flipper del bar, quando l’aggeggio parlante si mangiava l’ultima pallina e la mano frugava in tasca, dove le centolire erano finite? Game over: partita finita.
E non avvertite anche voi in questi giorni un seppur vago (mooolto vago) senso di sollievo? No, non per i vaccini anti-covid. Non per la fine del 2020, che è un anno come gli altri e siamo tutti noi – non un virus – che abbiamo accettato di farne collettivamente un concetto armageddònico. No, è che dall’1 gennaio o in qualche imminente data del 2021 la Brexit finirà di rompere gli zebedei (copyright G.Gnocchi): nelle sedi istituzionali, sui media e dappertutto. Fine. Basta così (per pietà). Game over, e stavolta definitivamente, con ’sta pizza di Brexit.
C’è un’esternazione, passata quasi inosservata, del n.1 degli Esteri della Commissione: uno spagnolo piuttosto poco appariscente, quasi un mite vecchietto, che però a volte somministra pillolette di verità non in politichese stretto. Si chiama Josep Borrell e ha detto: “Senza il falso racconto sull’Unione Europea la Brexit non sarebbe mai esistita”.
Perché la Brexit non è che il massimo simbolo, reso nello stile più tradizionalmente e altezzosamente “british”, del cosiddetto euroscetticismo: il complesso di teorie per cui l’Europa sociopolitica è inutile, l’UE non serve, Bruxelles è solo un costo, è pura burocrazia, ci impoverisce, puzza, e via così a colpi di salvinate, orbanate, poloniate, austriacate, di populo-destrismi tutti bandiere, tradizioni e anti-poverismi assortiti, col loro petulante sloganìo d’ogni livello e dislivello intellettuale.
In realtà gli orgogliosi sudditi di Elizabeth II di Windsor (Casa di Sassonia Coburgo e Gotha: non suona ridicolo, lo è) in Europa per davvero non sono mai entrati: né quando Churchill “salvava” De Gaulle dalle invasioni nazi, né quando si firmò il trattato di Roma, né quando nacque la moneta unica. Mai. Mai per davvero.
Quindi si perdoni la sbrigativa analisi, ma per quanto eserciti di economisti da cattedra e da bar dicano il contrario, con ‘sta mappazza di Brexit si è fatta per anni una così enorme tempesta, in un bicchier d’acqua così piccolo, ma così piccolo, che non ci sta manco un assaggio di Marsala o Porto, anzi meglio: di Cherry.
Quelli del “Regno Unito” (quello sì unito, eh?) si son sempre sentiti migliori, anzi I Migliori, di tutti gli umani del pianeta, e così sempre crederanno. Finisca dunque ‘sto sfinimento di trattativa, restino fuori ma più fuori possibile, si butti nella Manica per sempre il mito ultra-neoliberal della “City” (compresi gl’interessi di molti nella UE), si assista possibilmente a una Dunkerque economica, e se no, fa niente. E poi perdano per goleada tutti i Manchester contro tutti i Ferencvaros e gli Hapoel Nicosia che esistono.
E infine, se esiste e muove pezzi su questa scacchiera: Dio salvi l’Africa, non la regina. Vecchietta d’ammirevole longevità, certo; ma perfetto simbolo (come mr. Boris Johnson) di una “splendid isolation” che, per tutto quanto nasconde e rappresenta, è tanto storicamente reiterata quanto anacronistica e geopoliticamente stomachevole.