CONFERMATO, PER LA FRANCIA I KILLER SONO MARTIRI DELLA LIBERTA’

Scusate abbiamo scherzato. Un anno dopo averli arrestati con un blitz da film di Jean Luc Besson (operazione Ombre rosse) e avere promesso di estradarli in Italia, la Francia ha deciso di tenersi i nostri dieci terroristi e di lasciarli pascolare a Montmartre come avevano fatto per 25 anni, con vite nuove, cicatrici vecchie e baguette sottobraccio. Mes amis, c’est la vie. Siamo alle solite, nella loro autoreferenziale interpretazione della giustizia europea, i francesi hanno beffato Roma ancora una volta. La Storia ha la memoria corta.

La Chambre de l’Instruction della Corte d’Appello di Parigi ha infatti respinto la richiesta italiana, motivando la sua decisione con il “rispetto della vita privata e familiare, e del giudizio di contumacia” previsto dagli articoli 6 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il rispetto dei parenti delle vittime conta meno e la loro legittima richiesta di vedere i colpevoli di delitti politici scontare la pena in un carcere invece che in un attico con vita sulla Tour Eiffel conta zero. La decisione può ancora essere impugnata dalla Procura generale, staremo a vedere.

Nell’aprile scorso l’operazione aveva fatto scalpore, tutti i giornali parlarono di accordo fra Emmanuel Macron e Mario Draghi, di una prima avvisaglia di un tempo nuovo, di viatico verso il famoso trattato del Quirinale. Parole in libertà, carta straccia. Quei dieci restano “compagni che sbagliano”, protetti dalla dottrina Mitterrand che per quieto vivere recitava: “Chi ha abbandonato la lotta armata merita protezione”.

Fra i terroristi degli anni di piombo graziati dalle toghe francesi c’è anche Giorgio Pietrostefani, mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Subito dopo la sentenza, il figlio Mario, noto giornalista, ha commentato: “Sento il sapore amaro dell’impunità”. Fondatore con Adriano Sofri di Lotta Continua, Pietrostalin (soprannome derivato dalla sua intransigenza con tutti tranne che con se stesso) fuggì due volte a Parigi per sottrarsi alla condanna. Mentre Sofri e Ovidio Bombressi bussavano al portone del carcere di Pisa dopo l’ultima sentenza (la nona), lui si dileguava, pretendeva le scuse, si faceva intervistare dagli inviati dei giornali ai tavolini dei bistrò.

“Ho 60 anni e mi tocca giocare a nascondino”, ripeteva giudicando il mondo davanti a un croque monsieur. Ora ne ha quasi 80. Dall’antro della Storia tornano a uscire immagini, connivenze e quel brodo di cultura che per decenni ha fatto da collante della sinistra più ambigua, quella che non ha mai guardato in faccia al proprio passato. Tutti liberi e salvi.

La collezione di nonni dei fiori ultrasettantenni che stasera brinda all’ambiguità francese comprende Sergio Tornaghi (Brigate rosse, deve scontare l’ergastolo per l’omicidio del maresciallo Francesco Di Cataldo), Roberta Capelli (Br, ergastolo per l’omicidio del generale Enrico Galvaligi, il rapimento del giudice Giovanni D’Urso e l’uccisione del poliziotto Michele Granato), Marina Petrella (Br, ergastolo per Galvaligi, D’Urso più il sequestro dell’assessore regionale campano Ciro Cirillo), Narciso Manenti (Nap, ergastolo per l’omicidio dell’appuntato Giuseppe Gurrieri), Giovanni Alimonti (Br, deve scontare 11 anni e mezzo per il tentato omicidio del poliziotto Nicola Simone), Enzo Calvitti (Br, deve scontare 18 anni per tentato omicidio di un funzionario di polizia).

È vero, era un’altra epoca. Ma la morale non cambia, c’è chi l’ha fatta franca. Basta rileggere alcune interviste di Pietrostefani per riannodare i fili di una storia mai dimenticata, mai del tutto chiarita. C’erano le assemblee studentesche con Massimo D’Alema, le coperture politiche di parlamentari di lungo corso, le visite parigine di amici come Erri De Luca, intellettuale inclusivo e resiliente, ma al tempo arruolato nel servizio d’ordine di Lotta Continua. Allora fra i difensori d’ufficio di quel mondo c’erano Michele Serra e Gad Lerner, impossibile dimenticarlo.

Visti da sinistra, i conti con la notte della Repubblica non sono mai in pareggio. L’anno scorso, dopo gli arresti, i parenti delle vittime di quella stagione orribile parlarono di Giustizia. Adriano Sabbadin, figlio di un macellaio ucciso a Venezia dai Proletari armati per il comunismo, disse in lacrime: “Hanno rovinato famiglie come la mia, questi assassini devono essere consegnati alla giustizia”. Non accadrà.

Fra gli ex terroristi praticamente graziati perché “bisogna rispettare la loro vita privata e familiare” c’è anche Raffaele Ventura, l’uomo che nel 1977 a Milano, in via De Amicis, uccise Antonio Custra, vicebrigadiere che aveva solo 25 anni. Passamontagna, gambe larghe, mani sulla P38 puntata ad altezza d’uomo: vi ricorda qualcosa? Bene. I giudici di Parigi hanno stabilito che gli anni di piombo italiani furono solo una fotografia in bianco e nero.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *