CON CHE FACCIA PUTIN CHIEDE ALL’IRAN DI NON BOMBARDARE I CIVILI

C’è una pregevole categoria di intellettuali che esula da qualunque classificazione accademica, ma che ha, in pratica, un notevole potere presso le masse e, soprattutto, presso chi le masse le dovrebbe informare: gli analisti strategici. Non si capisce bene da quale tipo di formazione provengano, se militare, filosofica o matematica: fatto sta che, di questi tempi, essi prosperano. E la ragione è abbastanza evidente: da una parte, le guerre si fanno anche con la propaganda e non c’è propaganda migliore di quella che si ammanti di scientificità, sorretta da autorevoli pezze d’appoggio. Dall’altra, nella situazione geopolitica odierna, la verità è che nessuno ci capisce niente, tra Ucraina e Gaza, tra Trimarium e Celeste Impero: va da sé che uno che si presenti con la risposta pronta per ogni angosciante domanda dell’uomo della strada, appaia come il maschio Alfa della comunicazione.

Invece io, che non sono un analista (e men che meno strategico) vi dico che anche i più solenni e sicuri vaticini dei predetti si sono quasi sempre rivelati bubbole: parole affidate al vento, per ammaliare le masse e riempirsi la scarsella di palanche. Perché la verità vera è che quello che si decide nei penetrali della geopolitica di massimo livello spessissimo sfugge a qualsivoglia analisi: semplicemente, è frutto di decisioni a pera o di psicopatologie.

Facciamo un esempio, anzi due: le astutissime decisioni prese da Stalin, durante e dopo la grande guerra patriottica, che lasciavano il mondo col cuore in sospeso e scatenavano eserciti di analisti, al di qua della Cortina di Ferro, quasi sempre erano frutto di seratone alcoliche, in cui i gerarchi comunisti, stinchi da far paura, si affidavano alle loro intuizioni da ubriachi, per stabilire il destino di milioni di persone. Andava così.

Il secondo esempio è quello di Putin: l’ineffabile, scaltrissimo, glaciale semidittatore, fa spesso delle scelte che ci prendono in contropiede e paiono frutto di intricatissimi machiavellismi politici. Pane per gli analisti, insomma. Ora, io non so che rapporto abbia con la vodka il leader del Cremlino, ma, per certo, ha un rapporto col suo popolo e, per conseguenza, con noi, del tutto elementare: punta dritto allo stomaco, se rendo l’idea. Mussolini mieteva il grano a torso nudo: Putin cavalca gli orsi e tira con la carabina. Insomma, si rappresenta come un capobanda elementare. Evidentemente, gli piace interpretare il ruolo del semplice e potente supereroe: è un adulto che guida un popolo di bambini, nella sua visione delle cose.

Così, in fondo, egli è guidato dal suo odio-amore per gli USA, che, ai suoi occhi tradizionalisti, rappresentano il peggio della depravazione, ma che, al contempo, sono stati il sogno impossibile della sua infanzia: l’odiata desideratissima Coca-Cola, la proibita musica rock, Hollywood. Ecco, Hollywood potrebbe essere il modello epistemologico putiniano: la Hollywood degli anni Settanta, magari. Fatto sta che lui, pur mantenendo quel profilo austero che dovrebbe affascinare i suoi compatrioti ed incutere soggezione in tutti gli altri, compie gesti alquanto hollywoodiani: fa spesso saltare il banco, lasciando di stucco tutti. E, massime, gli analisti.

Negli ultimi tempi, per esempio, manda al leader iraniano Khamenei un’esortazione che, se non venisse da lui, suonerebbe come una bestemmia in chiesa: mi raccomando, nella tua inevitabile risposta al gestaccio israeliano (ammazzarti un ospite in casa, in effetti, non è precisamente un atto amichevole), guardati dal colpire civili: colpisci sì, ma in modo umanitario. Ora, volete che uno come Putin non sappia come funziona? Da anni sta massacrando civili ucraini e mandando al macello i propri giovani, non si capisce bene per ottenere cosa: un simile appello, da parte sua, appare grottesco.

Ebbene, non lo è: Putin, a mio parere, vuole, semplicemente, fare l’americano. Vuole, in definitiva, proporsi al mondo orientale come gli USA si propongono a quello occidentale: una specie di padre nobile e di padrino, allo stesso tempo. Scambia con l’Iran armi e tecnologia e ne sostiene l’immane sforzo per darsi un arsenale nucleare, che ribalterebbe gli equilibri geopolitici di tutta la regione: al contempo, però, esorta alla moderazione.

E gli Stati Uniti cosa hanno fatto per decenni in Europa? Ecco, io penso che, anche dietro a quest’ultima trovata putiniana ci sia quel sogno infantile di essere lo Zio Sam dei poveri: non tanto un acutissimo progetto di politica internazionale, quanto un sottile istinto, una remota quanto ossedente memoria dei suoi desideri d’antan. Trasformatisi, ovviamente, in temi da sviluppare per i suoi analisti strategici, che, presumo, saranno dei fessi, esattamente come i nostri, con l’aggravante della sudditanza al capo. Perciò, il mio suggerimento è quello di prendere le azioni di Putin un po’ meno scientificamente. E, se ci si deve affidare a degli analisti, che siano perlomeno psicoanalisti.

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