COMODO SCARICARE LA COLPA DEI FALLIMENTI SUI SOCIAL

di LUCA SERAFINI – Non che abbia detto letteralmente: “Abbiamo perso perché le ragazze stanno troppo sui social”, ma di sicuro il concetto espresso dal C.T. della Nazionale femminile di volley (presa a pallate dalla Serbia a Tokyo e buttata fuori con un 3-0 senza resistenza) pare esattamente quello. “State lontane da tutto ciò che vi può distrarre”, si era raccomandato Davide Mazzanti (NELLA FOTO), invocando concentrazione assoluta da parte delle azzurre. “Staccarsi dai social però è molto più difficile per loro che per me”.

L’eliminazione non nasce “dalla sovraesposizione multimediale, ma in quel mondo la melma che ti arriva addosso è più difficile da pulire e si rischiano risse digitali”. Mazzanti non ha fatto nomi né cognomi, non si è preso peraltro la pur minima responsabilità del flop, così la sua sparata ha suscitato risolini, polemiche, sospetti, come ad esempio quello che la maggiore indiziata quale bersaglio degli strali del C.T. abbia eccome un’identità precisa: Paola Egonu. Una star più che una pallavolista.

Scrive il “Corriere della sera” che pressioni e aspettative su di lei in particolare sono state premature ed eccessive rispetto alle Olimpiadi: portabandiera italiana, mattatrice della finale di Champions vinta dalla sua Conegliano, ci si aspettava forse che riuscisse a vivere avulsa anche dalla mediocrità delle compagne in quest’ultima Olimpiade e vincesse da sola.

Non vi sono dubbi che l’attività social della Egonu in particolare, ma anche delle altre azzurre, viaggi a tamburo battente. Ma basta essere follower di altri campioni per accorgersi che le differenze sono risibili. Anzi. Confesso che vedere entrare in campo i calciatori per il sopralluogo appena arrivati allo stadio, con cuffiette e cellulari, infastidisce non poco sia i tifosi che i romantici cronisti. Molto meno, evidentemente, dirigenti e allenatori.

Mazzanti però sapeva bene che quella sua riflessione sarebbe diventata virale, tanto per restare in tema, assai più di qualsiasi altra analisi tecnica, e siccome il tema principale dell’utilizzo dei social è la comunicazione, in questo ha fatto centro. Senza dubbio. Perché si è liberato appunto da responsabilità personali scaricando tutto sulle ragazze, non tanto sul loro modo di vivere la partita, ma la vita quotidiana.

Sappiamo bene che nei 4 (stavolta 5) anni che separano un’Olimpiade dall’altra si vive nell’anonimato o quasi, cibandosi di sacrifici, fatica, adattamento alla cronica mancanza di strutture e cultura che possano incentivare lo sport nei giovani e favorire i record di chi lo fa per mestiere, spesso sbarcando a malapena il lunario.

Che ora il problema diventino i post, francamente disorienta le nostre minime certezze. Per carità: regolamentare l’utilizzo social nell’uso e nel linguaggio degli atleti (e atlete) professionisti è certamente un tema interessante, che prima o poi andrà affrontato. Riversare su Instagram e Facebook le colpe di una cocente umiliazione ai Giochi, invece, pare francamente eccessivo, in quanto nasconde le colpe proprie e ha il sapore pilatesco di ceffoni che devono aiutare a cambiare e migliorare loro, non lui: le pallavoliste e basta, non l’allenatore. Quando sapevamo invece essere sempre il primo responsabile. Era fino ad oggi una radicata convinzione virale, soprattutto questa.

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