Lo ammetto: posso aver fallato. Da molto tempo, su queste ed altre pagine, inveisco contro la scuola, additando al pubblico ludibrio manchevolezze e scempiaggini di insegnanti, dirigenti, politici e studenti. Spesso, dimenticando il più debole degli anelli deboli di questa debolissima catena che è il sistema educativo: i genitori. Assenti, distratti, arroganti o saccenti, i padri e le madri degli studenti sono, frequentemente, la ragione prima di disagi, insuccessi scolastici o atteggiamenti irricevibili della prole. Come un volo di anatre isteriche, oscillano tra una severità fuori tempo massimo e una difesa a oltranza dei propri figli, anche quando assumano atteggiamenti da bullo di periferia o da far west.
I genitori: già, me li ero proprio dimenticati. Per fortuna che, oggi, a ricordarmeli, balza all’onore delle cronache l’ennesimo fatto da manicomio, riguardante, sia pure di sguincio, il mondo della scuola. Mi riferisco alla signora, che, per dovere antropologico, vi comunico essere una quarantenne separata romana, la quale, al termine di una bella litigata su di un cinque in latino, portato a casa dalla figlia sedicenne, a quanto pare, bravissima in tutte le altre materie, ha pensato bene di mollarla sul grande raccordo anulare e di tornarsene a casa da sola.
La fanciulla è stata raccolta, gemente e piangente, dai vigili, che l’hanno portata nel proprio comando, dove l’hanno rifocillata e rimessa in arnese. Secondo indiscrezioni, non sarebbe stata neppure la prima volta che la mamma piantava in mezzo alla strada la figliola: il che mi autorizza a postulare l’esistenza di qualche problemino nella Weltanschauung educativa della gentile signora. C’è perfino una nota canzoncina che recita: mamma mammina sei senza pietà, se mi abbandoni di me che sarà? Insomma, qui siamo veramente in un mondo al contrario, altro che le esternazioni di Vannacci!
Possibile che la buona vecchia ragionevolezza sia andata a farsi benedire? E dove l’abbiamo perduta? In seguito a quale malessere epocale l’abbiamo sostituita con questo delirio collettivo, che ha trasformato la scuola, la società, la vita, in un tourbillon di gesti demenziali, di piroette senza senso? E questi ragazzi, che trattiamo una volta come un vaso di porcellana e quella dopo come un pacco postale, una volta come piccoli geni e quella dopo come perfetti imbecilli, come cresceranno: che mondo plasmeranno? Ai posteri l’ardua sentenza: anche se, viste le premesse, delle sentenze dei nostri posteri tenderei a fidarmi pochissimo.
Cerco, tuttavia, per lunga e assidua frequentazione di signore disagiate, di mettermi nei panni della mamma romana: di immaginare cosa possa esserle passato per la testa, ogniqualvolta abbia piantato la pargoletta sul raccordo, alla mercè di tir strombazzanti e di utilitarie periclitanti. Sarà stata stressata dai mille impegni: la spesa, andare a prendere la figlia a scuola, il ginseng con le amiche, la casa da rassettare o il nuovo fidanzato con cui litigare. Per carità, avrà avuto le sue brave menate, come tutti. Ma come fai a mollare tua figlia di sedici anni sul raccordo anulare? Andiamo: bisogna veramente avere le pigne nel cervello. E ci credo che la signora si sia beccata una bella denuncia per maltrattamento di minori: è il minimo. Pensate se la ragazzina fosse stata stirata da un camion o se l’avesse caricata di forza un simpatico pedofilo di passaggio: sono eventualità da mettere in conto, a questi chiari di luna.
Dunque, da parte dei genitori di figli in età scolare, si passa dal più intollerabile laissez faire, per cui tutto quello che il pargolo compie va bene, e che porta inevitabilmente alla formazione di un microteppista scolastico, all’abbandono in autostrada se becchi un cinque di troppo, che porta, altrettanto inevitabilmente, a disastrini diversi, ma dagli effetti similmente devastanti, sul piano educativo della prole.
E il semplice buonsenso di cui sopra? Non pervenuto: i figli di una generazione di spostati, di soggetti psichiatrici, di un mondo senza valori stabili e senza riferimenti culturali a modo, sono condannati a subire ogni sorta di ghiribizzi parentali. E, a loro volta, presumibilmente, a diventare genitori così e così. E non serve denunciarli. Ci vuole un’altra vita…