COME TIRARE AVANTI SENZA IL DIBBA

di GIORGIO GANDOLA – È partito con una preoccupante minaccia: “Ora non ho alcun futuro politico, sto scrivendo libri”. Ha continuato con una malinconica rivelazione: “È finita una bellissima storia d’amore, ma sono coerente con me stesso”. E ha concluso come Il gabbiano Jonathan Livingston: “Adesso mi sento più libero”.  Perfettamente coerente con la sceneggiatura di San Valentino, Alessandro Di Battista ha detto addio al Movimento 5Stelle da innamorato tradito.

Rimanete qui, stiamo sul punto. Perché il governo Draghi, le spine del vastissimo rassemblement democratico, i dolori del piano vaccinale, le varianti inglesi, le derive cinesi e le sberle fra i gentiluomini Agnelli e Conte passano improvvisamente in second’ordine, diventano dettagli da fanatici di fronte alla notizia dell’anno, forse del secolo: come Jack Frusciante, Dibba è uscito dal gruppo. Il fremito ha percorso i telegiornali, i commenti hanno travolto i talk show, le bimbe pentastellate si sono vestite di nero; qualcosa di epocale ha attraversato il cielo della repubblica.

Effettivamente qualcosa è accaduto nel mondo parallelo del grillismo militante: da “uno vale uno” in tre anni si è passati a “uno vale l’altro”.  Prima l’abbraccio a Salvini, poi al partito di Bibbiano, poi ancora all’Europa e a Renzi, adesso a due personaggi che fino a un mese fa nessun pentastellato osava neppure chiamare per nome: lo Psiconano (Silvio Berlusconi) e Dracula (Mario Draghi). È singolare, ma neanche tanto, che l’unico ad accorgersi dell’anomalia sia stato il Dibba, lo zappatore muscolare del movimento, quello senza impegni politici, lo spirito libero o Vispa Teresa che dir si voglia.

Per la verità è anche l’unico colonnello a non avere ruoli istituzionali, quindi a non godere di stipendi istituzionali. Per lui è facile sterzare con l’auto elettrica e dissolversi come una scia chimica, mica gli arriva il bonifico a fine mese.

Comunque è strano il Dibba, ci voleva uno così – un po’ Masaniello e un po’ Forrest Gump – per mandare un gran vaffa a Grillo. Lui che aveva capito dal primo minuto il valore dirompente della protesta, il peso simbolico della scatoletta di tonno da aprire (il parlamento), il fremito della rivoluzione permanente. Tutto finito. “Scriverò, farò le mie cose, prenderò le mie posizioni in maniera più libera di prima. Tutto qua”.

Nella società liquida, dove le opinioni e le strategie hanno la forma dell’acqua e quindi prendono quella dei luoghi e delle circostanze, alcuni sostengono che la sua sia una manovra. Forse perfino una nuova professione. Dopo essere stato motociclista sulla cordigliera andina (copyright di Che Guevara), flippato reporter dal Madagascar, Konrad Lorenz senza laurea né pianoforte in Guatemala e marinaio conradiano d’acqua dolce, ha semplicemente deciso di sperimentare un altro ruolo alternativo: quello del Cincinnato di Roma Nord. E gli altri lo assecondano.

Ha detto bene Luigi Di Maio, che lo conosce dal tempo dei meetup: “Ha fatto una scelta che rispetto, ma spero e credo che non sarà un addio”. E l’opinione di uno che è stato tre volte ministro in tre governi successivi con tre  maggioranze diverse (per dire, neanche Gava) non va sottovalutata.

Dalle sliding doors della politica di può sempre rientrare come ha fatto il prode Ciampolillo. L’uscita teatrale è stata bocciata dal primo sindaco grillino della storia, quel Federico Pizzarotti scappato per occuparsi di Parma. “Alessandro è fermo a dieci anni fa e non si è mai sporcato le mani”, ha detto a Huffington Post. “Mai una proposta di legge, mai un’interpellanza. Così è facile. Forse si è conclusa la farsa e il populismo sta finendo”.

La parola magica in fondo alla parabola del Dibba con il fagottino che si allontana sotto le stelle è proprio “forse”. Anche perché nel movimento delle regole di chewing-gum questo è l’addio zero. Ne resterebbero altri due, come i mandati.

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