CHI SI FIDA ANCORA DEI CINESI

di MARIO SCHIANI – Ci eravamo addormentati con il Covid, ci risvegliamo con la Guerra Fredda. Quella in corso a tutti gli effetti tra Stati Uniti e Cina o, a voler essere precisi, tra Stati Uniti ed Europa (e Australia) da una parte e Cina e Russia dall’altra. Tuttavia, nonostante gli sforzi dell’Unione europea di farsi passare per un’entità coesa e quelli della Russia per far credere di essere una superpotenza, la realtà dei fatti dice che questa nuova Guerra Fredda è ancora una volta una partita a due, e se la giocano Stati Uniti e Cina.

Nonostante disponga ancora di un temibile arsenale bellico, la Russia di Putin, con tutti i suoi proclami e la sua attività di hackeraggio, da un punto di vista strategico appartiene al passato: nella nuova Guerra Fredda, infatti, non contano tanto le testate nucleari quanto i punti di Pil.

Il presidente Usa Joe Biden ha fatto pressioni al G7 perché i Paesi alleati prendessero posizione contro la crescente influenza della Cina: una mossa politica, si capisce, intesa a difendere prima di tutto l’interesse americano, puntellata tuttavia da non pochi argomenti. I capi d’imputazione presentati a Pechino vanno dalle violazioni dei diritti umani nello Xinjiang e a Hong Kong, alle condizioni di lavoro in diversi settori di agricoltura e industria, fino all’atteggiamento aggressivo nei confronti di Taiwan. Biden ha perfino rilanciato la carta del coronavirus, alimentando il sospetto che sia stato coltivato in un laboratorio cinese e che da lì, in conseguenza di un incidente, si sia diffuso per il mondo. Nel muovere l’accusa, il presidente americano si è tuttavia dimenticato di dire che il laboratorio di Wuhan, al centro dei sospetti, ha goduto negli anni anche di finanziamenti americani, sia pure in misura limitata, erogati in conseguenza del divieto di fabbricare virus letali in laboratori sul suolo americano, imposto durante l’amministrazione di Obama nel 2014 e cancellato durante quella di Trump nel 2017.

La teoria del virus fabbricato e poi scappato di casa è comunque un po’ traballante: di indizi ce ne sono pochini e di prove men che meno. Sarà ben difficile che l’Organizzazione mondiale della sanità, l’ente suggerito da Biden quale autorità investigativa, riesca a raccoglierne di decisive.

Tutto serve, però, ai fini della Guerra Fredda contro la Cina. Pechino, capita l’antifona, ha risposto da par suo: respingendo con sarcasmo le accuse americane, ricordando agli europei gli accordi stretti dai singoli Paesi dell’Unione con la Cina, e spedendo un bel po’ di unità militari, soprattutto d’aviazione, a far da parata nel Mar Cinese Meridionale, un po’ per ricordare a Taiwan che il suo destino, nei desideri del presidente Xi, è quello di tornare a essere una provincia dell’impero, un po’ per rafforzare le sue rivendicazioni sull’area. Da quelle parti, la tensione è arrivata al punto da provocare una corsa agli armamenti: di qualche giorno fa la notizia che l’Indonesia ha deciso di acquistare dalla nostra Fincantieri ben 8 fregate militari.

Tutto questo, però, ci parla di grandi strategie e di superpotenze che giocano alta sulle nostre teste una partita geopolitica, fronteggiandosi davanti a una immensa scacchiera prima di tutto macroeconomica. Noi semplici cittadini, in questo conflitto alimentato, oggi come ieri, dalla propaganda, finiamo per avere difficoltà nel distinguere il vero dal falso. E tuttavia ne sappiamo abbastanza per poter dire che, tutto sommato, spetta soprattutto alla Cina fare esercizio di buona volontà.

Con tutti i difetti e gli errori dell’Occidente, e se guardiamo appena all’altroieri della nostra Storia c’è da mettersi le mani nei capelli, oggi è proprio il contributo di Pechino alla stabilità e alla sicurezza mondiale che si rivela insufficiente. La tragedia del coronavirus è solo un esempio, quelle dello Xinjiang e di Hong Kong lo seguono a ruota. Buon ultimo, l’allarme alla centrale nucleare di Taishan – a due passi da Macao, Hong Kong e Shenzhen: un’area estremamente urbanizzata – ha messo i brividi a mezzo mondo, non fosse per il fatto che se ne è avuta notizia, in prima battuta, solo grazie a fonti occidentali.

Sono soprattutto la mancanza di trasparenza, la costante irritazione nei confronti di ogni critica, le reiterate minacce rivolte all’Occidente perché “non si immischi delle nostre questioni interne” e la tendenza all’insabbiamento dei problemi che ha caratterizzato anche le prime fasi dell’epidemia di Covid-19, a relegare la Cina, orgoglioso gigante in crescita, determinato a cancellare la debolezza del passato, in un ruolo di protagonista non affidabile della scena mondiale.

Ora ci dicono che l’incidente di Taishan non ha provocato diffusione radioattiva: tutti speriamo che sia vero, ma nessuno può fare a meno di pensare che anche a Wuhan non si era diffuso nulla fino a quando si è saputo che si era diffuso tutto.

 

 

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