COME CROLLA MISERAMENTE A BERLINO IL MITO DEUTSCH

Sarebbe il caso, tra europei, di incominciare una buona volta a sottolineare le affinità invece di sedimentare le differenze, come facciamo da secoli. Basta con gli italiani mafia-pizza-mandolino, i francesi con la puzza sotto il naso, gli inglesi che quando noi inventavamo il diritto abitavano ancora sugli alberi. Basta anche perché le differenze – che ancora esistono a dispetto della globalizzazione culturale – sono semmai valori da esaltare (ed esplorare) e non pretesti per attizzare i contrasti. Però, quando la notizia chiama, ovvero, come recita la regola aurea, l’uomo morde il cane e non viceversa, bisogna che il giornalista si precipiti, anche a costo della sua personale idiosincrasia per i luoghi comuni.

E mai uomo morsicò il cane come a Berlino dove le elezioni del 26 settembre 2021 dovranno essere ripetute per colpa dell’amministrazione cittadina, che ha gestito l’appuntamento, stando a quanto si legge nei giornali, con incredibile approssimazione e imperdonabile leggerezza.

Il risultato? Migliaia di cittadini non hanno potuto votare, le attese ai seggi si sono prolungate per ore, le singole schede sono state contate alla carlona e, colmo dei colmi, alla fine è risultato eletto pure Clemente Mastella. D’accordo, l’elezione di Mastella è uno scherzo, ma il resto è tutto vero. A Berlino i tedeschi si sono scoperti disorganizzati a livelli inconcepibili. Dalle nostre parti, con tutte le matite copiative del caso, i registri e i bolli borbonici, i voti di scambio e di ricambio, le lenzuolate di partiti e i referendum con i quesiti pubblicati a puntate, non si è mai arrivati ad annullare un’elezione, certamente non di una città importante come è Berlino per la Germania.

Vien da pensare che sia un effetto, l’ennesimo, del cambiamento climatico: i ghiacciai si sciolgono, a Copenaghen si gira in maglietta e in Germania non sanno più contare eins, zwei, drei senza perdersi per strada. Sarà vero? Da parte loro i tedeschi, non potendo negare l’innegabile, ovvero la frittata compiuta, sottolineano il dato della “diversità” di Berlino rispetto al resto del Paese. Non è una novità, questa: da sempre ai berlinesi i tedeschi riconoscono qualità (o forse, dal loro punto di vista, sarebbe meglio dire “caratteristiche”) non propriamente germaniche come il senso dell’umorismo e la cordialità, e per converso imputano loro difetti come, appunto, la disorganizzazione e la tendenza a sottovalutare gli impegni. Mancanze che, nel resto del Paese, sono più rare di un Keelblatt (quadrifoglio) nella metropolitana di Francoforte.

Sappiamo bene tuttavia che questa volta non possiamo dare la colpa al clima e che il trasandato carattere berlinese è probabilmente imputabile solo in parte. Sembra più probabile che anche lassù vada dilagando una tendenza mondiale alla faciloneria e alla glorificazione dell’ignoranza, la quale, unita alla convinzione che tutto sia dovuto e scontato, che anche il riprodursi dei più delicati meccanismi della democrazia appartenga all’abitudine e al diritto naturale, sta riducendo i cittadini, perfino quelli investiti di responsabilità istituzionali e forse soprattutto loro, a bambini capricciosi, egocentrici e refrattari a ogni forma di disciplina.

Se la mettiamo così, perdiamo l’occasione di sentirci superiori ai tedeschi in fatto di organizzazione. Un peccato perché – ammettiamolo – quando ci ricapita? Eppure, è forse l’atteggiamento più onesto. Consoliamoci al pensiero che, in ogni caso, c’è una cosa che i tedeschi hanno spesso gestito altrettanto male delle elezioni di Berlino (e speriamo continuino a farlo): le semifinali – e pure le finali – con l’Italia.

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