COM’E’ CHE TESLA UMILIA VOLKSWAGEN A CASA SUA

Volskwagen, il secondo gruppo automobilistico al mondo, che si alterna con Toyota al comando, vacilla per un colpo al plesso solare da parte di Tesla.

Lo spaccone Elon, che irride Bezos scrivendogli “sei il #2” (in quanto a ricchezza personale), sfida il colosso tedesco a casa sua con la nuova fabbrica vicino a Berlino e dà una grande prova di efficienza: la sua auto viene prodotta in dieci ore contro le trenta che impiega la VW nel fabbricare il suo modello elettrico, la ID.3. La casa californiana prevede di produrre 500.000 auto all’anno in Germania con 12.000 dipendenti, mentre i 25.000 in forza nella fabbrica di Wolsfburg per Volkswagen producono 700.000 auto. L’enorme gap provoca un terremoto e il CEO tedesco Herbert Diess annuncia il taglio di 30.000 dipendenti, necessario per recuperare produttività e rispondere al concorrente americano.

Bum. I sindacati insorgono ma anche gli stessi consiglieri, che si dicono sorpresi del taglio. Non parliamo degli operai. Com’è possibile che un colosso non sia in grado di essere competitivo, sfruttando l’enorme economia di scala e la grande esperienza? Qualche idea ce l’ho.

Di sicuro per grande sottovalutazione di Tesla ed eccesso di arroganza, pensando che mai avrebbero potuto essere così rapidi nello scalare le opportunità. Avranno sottolineato con sorrisini sicuri le enormi perdite economiche e la difficoltà di rifinanziare il business, senza concentrarsi sul fatto che la capitalizzazione avesse superato addirittura la storica Ford: come a dire che la borsa e le lobby finanziarie avevano già fatto la loro scommessa.

Si sono mossi con lentezza nel mettere a punto una strategia sull’elettrico, svegliandosi solo quando l’opinione pubblica ha alzato la voce. Il gigantismo è l’ostacolo più insormontabile per muoversi con agilità, non hanno pensato di creare tipi di business che rompessero radicalmente gli schemi burocratici di un gruppo da 223 miliardi di fatturato con 865 mila dipendenti. Poco coraggio e creatività, soprattutto risposte standard a eventi nuovi e stesso (lento) ritmo di reazione.

La decisione dei tagli sembra tanto inevitabile quanto scontata. Il top management sceglie l’ovvio e il modo più doloroso per metterci una pezza. Questi sono gli effetti deleteri della corsa alla crescita per la conquista del primato, che mostra impietosamente il tallone d’Achille proprio nella sostenibilità di questo percorso.

Non tieni più tanto conto della dimensione dell’organizzazione e ti preoccupi solo di spingere i fatturati per poter sostenere costi più alti. Un circolo virtuoso che diventa vizioso quando arrivano nuovi concorrenti agili, intelligenti e innovativi. La differenza, però, con il passato è che oggi le pesanti riorganizzazioni non passano più inosservate: la comunità e gli stakeholder non te la fanno più passare così liscia.

Mi ricorda la triste vicenda dell’Alitalia, che ha subito l’ingresso sul mercato delle compagnie low-cost, capaci di rivoltare il settore, a partire dal modello organizzativo spartano e dal contenimento massimo dei costi. Invece che reagire ha preferito vivacchiare con gli aiuti dello Stato, cercando di fare pressione insieme ad altri vettori in un inutile guerra di opposizione ai nuovi arrivati e difendendo una élite decadente non più in grado di rispondere con idee nuove o fatti concreti. O peggio, tentare di copiarli, senza mai riuscirci.

Mi ricorda le grandi società elettroniche europee letteralmente scomparse in pochi decenni per l’arrivo dei coreani e dei cinesi.

Volkswagen – macchina del popolo letteralmente -, sei avvertita: hai già passato miracolosamente la grana del dieselgate, è ora di dare una prova di maturità e di leadership etica come spetta ai grandi.

 

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