COLLEZIONARE IL NULLA A PESO D’ORO

di MARIO SCHIANI – Il guaio delle novità è che si vengono sempre a sapere quando son vecchie. Per esempio, supponendo di avere avuto 563mila dollari in tasca, qualche giorno fa avremmo potuto comprarci il primo articolo Nft in blockchain del “New York Times”. Purtroppo, l’occasione è sfumata.

La cosa buona è che i 563mila dollari da qualcuno effettivamente sborsati andranno a finire in beneficenza, e segnatamente ad aiutare un’associazione che si occupa di famiglie bisognose; quella meno buona è che adesso ci tocca capire che cosa sia un articolo Nft e che cosa vuol dire blockchain.

Personalmente parto da zero, per cui mi scuso se le spiegazioni a seguire ad alcuni parranno ovvie: c’è chi ha la casa piena di Nft e chi no, siate comprensivi. Dunque, innanzitutto dobbiamo precisare che il concetto chiave è quello di “blockchain”. Con questo termine – che letteralmente significa “catena bloccata” – si indica nel gergo informatico una struttura di dati (ovvero uno specifico insieme di dati salvabile nella memoria di un computer) condivisa e immutabile. Queste strutture possono essere riprodotte in più copie, ma sono legate da un protocollo il quale farà in modo che ogni aggiunta alla struttura venga riportata in ogni singola copia. Le strutture blockchain consentono la verifica dell’origine dei dati, la tracciabilità, l’immutabilità e la sicurezza nei trasferimenti. Tipico esempio di blockchain è bitcoin: una struttura di dati digitali talmente garantita da poter essere usata come valuta.

A differenza dell’articolo del “New York Times”, il bitcoin non è però Nft, acronimo che sta per “Non fungibile token”. La distinzione è questa: un bitcoin è un elemento digitale singolo, fisso e distinto, ma intercambiabile con un altro bitcoin. In sostanza, tutti i bitcoin sono uguali tra loro; non esistono, invece, due Nft uguali. La qualifica Nft sta appunto a indicare che un certo raggruppamento di dati è unico, immutabile e ufficialmente riconosciuto come tale. Ed ecco che qui entra in gioco il collezionista o, se preferite, l’investitore (o speculatore). Un oggetto unico e immutabile, al quale sia aggiunto un vero o presunto interesse storico o artistico, acquista valore di mercato: ecco dunque spiegato come il primo articolo Nft nella storia del New York Times sia stato venduto per oltre mezzo milione di dollari.

A renderlo speciale, attenzione, è solo e soltanto il fatto che è il primo. Il contenuto non conta nulla: l’articolo infatti parla… di se stesso. L’autore, Keven Roose, scrive proprio di questo: ecco qui il primo articolo Nft del “Times”, accattatevillo che un giorno varrà molti soldi. Quanti e forse più di un Picasso, di un Modigliani, di un Van Gogh e quasi quanto un’opera d’arte Nft.

L’arte infatti è già entrata nel blockchain. La casa d’aste Christie’s ha venduto un’opera completamente digitale dell’artista Beeple (sì, nel giro di 5 secoli siamo passati, in fatto di soprannomi dei maestri, da Pinturicchio e Beeple) per 96 milioni di dollari. Più a buon mercato il primo “tweet” lanciato da Jack Dorsey, uno dei fondatori, appunto, di Twitter: 2,9 milioni di dollari.

Insomma, se avete un buon libretto degli assegni e qualche spazio libero in casa potete buttarvi nella mischia e tentare di assicurarvi un capolavoro informatico o un equivalente digitale della Bibbia di Gutenberg. A pensarci bene, lo spazio fisico non vi serve: basta un po’ di memoria nel computer.

Gli oggetti Nft dissolvono in via definitiva l’elemento materiale dell’opera, che svanisce per diventare qualcosa di fruibile solo attraverso uno schermo. Si potrebbe dire che l’acquirente dell’articolo ha comprato un costosissimo pugno di nulla: qualche miliardo di miliardi di miliardi di elettroni ordinati in una maniera specifica che tuttavia non vedono l’ora, magari grazie a una smagnetizzazione, di tornare in libertà. Anche le opere d’arte, si dirà, tendono a svanire: vorrà dire che in futuro, accanto ai restauratori tradizionali vedremo all’opera quelli digitali. Il primo tweet di Dempsey, una preziosa collezione di “vaffa” firmata da Grillo, un post cardinale della coppia Ferragni-Fedez: tutta roba che un giorno verrà rinfrescata come la volta della Cappella Sistina.

L’arte moderna e contemporanea ci ha accompagnato lungo una progressiva perdita della materialità dell’opera e, soprattutto, della manualità dell’artista. Il pittore da tempo non dipinge più nel senso classico, non prepara i colori come faceva nella bottega medievale; non è neppure più tenuto a conoscere le basi del disegno. Ora anche la sostanza della sua opera svanisce, e si fa virtuale. Poco male, si direbbe, se riuscirà comunque a trasmettere emozioni e intelligenza. Ma è difficile non pensare come questa tendenza alla dissoluzione nel nulla elettronico rappresenti perfettamente la presente stagione dell’umanità. E’ il vero, irrevocabile trionfo del “nigutin d’or”, come si diceva una volta in Lombardia: un bel niente di niente, ma d’oro.

 

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