Parliamo in generale: è evidente, il nuovo arrivo nella tragedia Covid si chiama frenesia. Si percepisce ovunque. E’ tornata la stessa fretta che all’inizio non ci ha fatto chiudere: adesso, vuole farci riaprire. Meglio detta Fase 2.
E’ umano, in un certo senso: davvero la clausura si sta facendo pesante, ogni giorno di più. Ai limiti dell’esasperazione. Da qui, l’istinto che spinge a dire basta, abbiamo sopportato abbastanza, ricominciamo. Se sia davvero abbastanza quello che abbiamo sopportato, abbastanza da evitare una nuova fiammata del virus, lo capiremo solo fra tre o quattro settimane. Certo, ricominciare da capo sarebbe dieci volte più pesante della prima volta.
Intanto, l’orientamento generale tira da quella parte: ripartire, riaprire, ricominciare. Sostanzialmente, è la linea bruscamente definita con una semplice frase dal presidente della Regione Friuli, Massimiliano Fedriga: “Bisogna ripartire, subito: altrimenti, se la gente non muore di virus, muore di fame”.
Partorito sul posto, con felice intuizione, anche il sofismo giusto per placare ogni scrupolo timoroso: “Impareremo a convivere, col virus” (copyright Zaia, governatore veneto).
Senza girarci tanto intorno, sta passando una linea più o meno così definita: abbiamo ancora cinque-seicento morti al giorno, d’accordo, ma dopo tutto sono un buon prezzo. Sopportabile. Accettabile. Si può fare, ne vale la pena.
Ovviamente è tutta musica per le orecchie di Confindustria, associazioni commercianti, operatori a vario titolo. Persino nell’epicentro dell’inferno, a Bergamo, stanno già riaffiorando le velleità: il potente Christophe Sanchez, braccio destro del sindaco Gori, con lui prima nelle televisioni e poi stratega dei successi politici, non esita a dire sul “Corriere” locale che per il virus “la città ora è tristemente nota in tutto il mondo, noi dovremo giocare questa notorietà trasformandola in un’opportunità che riguardi gli aspetti turistici del territorio…”, cioè in altre parole se vendiamo bene la pietà suscitata di questi tempi può uscirne un bel business. Magari non è esattamente quello che intende, però così appare. Lo comprenderà bene, lui che è considerato il guru della comunicazione.
Un mattone dopo l’altro, così, ci ritroviamo nuovamente schierati allo stesso modo, noi italiani, nell’ennesimo bipolarismo, cinquanta e cinquanta, senza possibilità di capirci: i celoduristi e i fifoni. Estremizzo, certo, ma ci intendiamo. Chi dice qui se non ripartiamo è la fine, chi dice magari tenendo duro ancora un po’ ne usciamo sani e sicuri una volta per tutte.
Chi abbia ragione solo il tempo lo dirà. Di sicuro non hanno ragione quelli che sparano certezze: oggi come oggi ha ragione solo chi dubita (come sempre, se posso dire, ma questa è un’opinione mia).
In generale, comunque, mi pare si stia frettolosamente dimenticando (rimuovendo) che ogni giorno conteggiamo ancora più o meno seicento morti. Io non so se anche questo numero ormai sia diventato talmente abituale da risultare leggero, sopportabile, ininfluente: io, a costo di finire dritto tra i fifoni, continuo a non reggerlo. Mi appare mostruoso esattamente come all’inizio della storia. Cioè: davanti a questo numero, tutta questa fretta di ricominciare mi si ammoscia sul nascere. Muore in culla. Soffocata dallo spavento.
Ormai, però, avverto chiaramente di essere in ridicola minoranza. Il vento ha ripreso a soffiare da un’altra parte, nevroticamente, verso la pretesa normalità. Ogni tanto penso che la follia umana abbia agito benissimo anche stavolta: già dimenticato tutto, comunque già superato.
Eppure. Eppure mai disperare. Anche in questo clima generale, io un vero saggio l’ho trovato. Mi è capitato per caso di sentirlo in un’intervista, avrei voluto abbracciarlo. Mi rubava le parole di bocca. Senza urlare nei talk-show, senza esibirsi da sapientone, diciamo uno Sgarbi agli antipodi, ha semplicemente detto ciò che volevo sentirmi dire, in questi giorni.
Parlo di Remo Morzenti Pellegrini, rettore dell’Università di Bergamo. Natali in valle a Clusone, dove si sono celebrati anche otto funerali al giorno, dalla finestra dei suoi uffici in Città Alta ha visto l’ospedale in tilt, i camion militari con le bare, le famiglie distrutte. Ha visto tutto e non ha dimenticato. Soprattutto, l’ha capito bene.
E proprio mentre se ne veniva via da un funerale del suo paese, alla cronista Rai che gli chiedeva un’opinione sulla Fase 2, con la voce sommessa le ha risposto semplicemente così: “Guardi, lei parla di Fase 2. Anche noi non vediamo l’ora di avviarla. Ma purtroppo siamo ancora immersi fino al collo nella Fase 1. Troppi morti. Certo sento anch’io tutto il dibattito su quando riaprire. Ma sinceramente noi non abbiamo bisogno di date: a noi servono dati. Quando saranno scesi, numero di malati e numero di morti, allora sarà il momento di parlare della Fase 2”.
No, la saggezza non è morta. Neppure stavolta. Non se la passa bene, ma non è morta.
Mi piace che si parli di saggi e spero che possano sempre essere intervistati ed ascoltati, perchè esistono basta andarli a cercare, tutti i giorni.
Egr. Dott. Cristiano Gatti ,
Che c’è mai da “commentare” di quanto pensa e scrive ?
Di questi tempi, in cui si parla tanto – ed a vanvera- di LIBERTÀ …di poter tornare a fare questo e quello, quasi che nulla stia ANCORA tragicamente accadendo, lascio volentieri la parola a tale PITAGORA , che , anche se uomo e filosofo di qualche annetto fa, proprio cretino non doveva esserlo :
“ L’ UOMO NON È LIBERO SE NON SA COMANDARE SE STESSO. “ .
Fine delle trasmissioni.
CORDIALITÀ.
Fiorenzo Alessi
Certo concordo oggi come ieri ha ragione chi dubita
Dubitare vuol dire avere lo sguardo anche all’altra faccia della medaglia.
Siamo in tanti a finire tra i fifoni da non confondere coi codardi che si nascondono spesso proprio tra gli spavaldi
Un affettuoso saluto
Filomena