CIAO TOTO’, MASCOTTE DI UNA NOTTE ITALIANA

Pietruzzu prima, Totò dopo. Il maligno si è portato via un altro figlio del sole, Schillaci dopo Anastasi, storie vicine, dall’isola al continente, lo stesso percorso, Juventus, Inter, la nazionale, gloria, fama, denari, dopo i morsi e la polvere d’infanzia, improvviso l’annuncio che l’ultima notte non sarà più magica ma piena di lacrime, non di gioia ma di dolore e lo strazio di una vita portata via a cinquantanove anni.

Occhi di pece infine chiusi dopo aver vissuto giorni immensi, la povertà del Cep, i sogni messinesi con Scoglio e Zeman, quindi il viaggio del migrante verso il nord. Totò per tutti, Turi per Brera che di lui scrisse di “pirandelliana rabbia”, protagonista a sorpresa, uscito fuori dalla giara di Vicini quando Vialli e Carnevale erano gli attori principali della commedia di Italia ‘90, gol 6, tra lo stupore mondiale e pure suo, di testa, di piedi, di riffa e di raffa, comunque idolo-mascotte, pupo di una nazione che sognava, sperava prima di essere svegliata dall’incubo Caniggia.

Ma ormai Schillaci era lui, quello della Nannini&Bennato, notti magiche inseguendo un gol, sotto il cielo di un’estate italiana e negli occhi tuoi voglia di vincere. La vita gli ha concesso la sofferenza dei supplementari, ma la speranza di rivederlo come prima, anche con quel buffo parrucchino a coprire la stempiatura, si è sciolta in una mattina di settembre.

Trentaquattro anni dopo si rivedono i fotogrammi di un tempo lontano che di colpo torna vero, attuale e va a rigare la memoria. Lo ricordano in mille, in ogni parte del mondo calcio. Totò Schillaci non era un fuoriclasse, di stile ed eleganza, anzi era pure brutto e tozzo eppure è stato un idolo di tutti ed oggi tutti hanno voglia di dire e scrivere. Maledetta morte, servi a scaldare la nostalgia e a farci sentire di nuovo soli.Pubblicità

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