di MARIO SCHIANI – Un giorno qualcuno si prenderà la briga di comporre una bella fenomenologia dei leader negazionisti e scoprirà il tratto che li accomuna: quello di essere stelle cadenti, parabole di mortaio prossime all’annientamento, candele all’ultima luce le quali, pur di rimandare la voluta di fumo che annuncerà la fine del loro contributo intellettuale, abbracciano cause tanto improbabili quanto, purtroppo, dannose. Un generale dei Carabinieri in cerca di qualcuno da far marciare su e giù, un critico d’arte certo competentissimo e coltissimo che tuttavia ha fatto dell’esasperato bisogno d’attenzione la cifra della sua presenza pubblica, un tenore capitato nel mucchio forse per sbaglio e, infine, la voce della “resistencia” spagnola contro la “truffa” del Covid: Miguel Bosé.
Cantante pop, attore con qualche buon film in carriera, a 64 anni Bosé è diventato una di quelle facce distorte che berciano nei video in streaming dei social network spendendo per una causa sbagliata – la negazione dell’esistenza del Covid e, di conseguenza, la ribellione alle misure sanitarie per circoscriverlo – parole preziose come “libertà” e, appunto, “resistenza”. Con alto spregio del ridicolo, Bosé ha chiamato a raccolta i negazionisti di Madrid, replicando nella capitale spagnola quel che si è visto in altre città europee, segnatamente a Berlino, dove in nome della “libertà” i passanti che osavano circolare con la mascherina sul volto sono stati insultati e costretti a togliersela. Sporchi provocatori, senza dubbio.
Le ha sparate talmente grosse, Bosé, che Twitter e Facebook lo hanno “sospeso”: la mossa perfetta per confermare in lui e nei suoi seguaci teorie complottiste e dinamiche persecutorie.
Quello dei negazionisti – schierati su temi molto lontani tra loro come il Coronavirus, l’Olocausto e perfino lo sbarco sulla Luna – è un fenomeno curioso, dai tratti a volte grotteschi ma comunque sempre inquietanti, perché l’unica negazione in cui davvero riesce è quella legata alla faticosa conquista umana a usare, almeno in certi ambiti, la ragione e la coscienza. E lo fa appropriandosi di concetti d’altezza stratosferica, lasciandoci poi avviliti nel trovarli ridotti a vessilli di folle che evidentemente non sanno quel che dicono.
Un problema di cultura? Probabilmente sì. Forse tra i negazionisti ci sono persone che hanno letto troppo Philip K. Dick e poco Dostoevskij, che hanno visto mille volte “Matrix” e mai un film di Bresson o di Renoir. Questo non per disprezzare l’ingegno di Dick e degli sceneggiatori di Hollywood, ma perché, piaccia o no, ancora oggi è difficile aggirare certe opere e certi autori qualora si voglia conoscere qualcosa in più dell’animo umano e dell’ordito sociale, luoghi, entrambi, dove maturano le spinte per la libertà e la giustizia e dove, con fatica e non di rado a prezzo altissimo, si opera a favore della tolleranza e dei diritti fondamentali. Per un briciolo d’attenzione, invece, si butta via tutto, e pur di apparire “liberi” e “fuori dal coro” si segue chi, alla scienza e al pensiero, oppone i testi di “Papito” e “Bandido”.
Tutto diventa ancor più triste al pensiero che il negazionista Bosé, appena qualche mese fa, perdeva la madre, l’indimenticata attrice Lucia, proprio per colpa del Coronavirus, ma questo ci conferma come il suo atteggiamento sia in fondo un capriccio che non riesce a uscire da se stesso, neppure per misurarsi con la più vicina delle circostanze.
Si diceva un tempo che nel paese dei ciechi l’orbo è re. Oggi è vero il contrario: molti di noi sono disposti ad accodarsi a chi più ostinatamente tiene lo sguardo affondato nella tenebra. A costui, per averci in pugno, basterà intonare una canzonetta che, oggi, parla di libertà e di resistenza come ieri parlava di baci e amori estivi.