Guido Bertolaso non è mai delicato, nel giusto e nel torto, la spara come gli viene e come ritiene, fin dai tempi in cui fu Capo del Dipartimento della Protezione Civile. Negli ultimi trent’anni, ovunque ci sia stata un’emergenza, la sua voce si è sentita forte e chiara, che tenesse il timone delle operazioni o che semplicemente fosse interpellato per un parere, stentoreo sempre.
Dal 2020 si occupa per lo più di Sanità, chiamato in causa per l’emergenza COVID prima, dalla regione Lombardia ma non solo, e assessore al welfare della stessa regione poi. In quanto medico e pure chirurgo la convocazione ci sta e ci sta ancor di più visto lo schieramento politico di Bertolaso e la irremovibile conduzione in mano al CentroDestra, almeno da Formigoni in avanti.
L’ultima uscita roboante di Bertolaso riguarda il ricorso ai medici a gettone, per tramite di Cooperative, da parte delle strutture ospedaliere pubbliche. La Lombardia da mesi ha già detto basta a questa pratica e ora Bertolaso rincara, confermando la possibilità di arruolare i medici liberi professionisti negli ospedali della regione.
Dice, Bertolaso: “È il primo passaggio per riportare i medici all’interno del servizio sanitario regionale. Il provvedimento, adottato dalla Giunta regionale, mira a riequilibrare un modello iniquo utilizzato da alcune cooperative di ‘gettonisti’. Ritengo che la proposta economica per i liberi professionisti sia congrua rispetto al compenso che ricevono i colleghi dipendenti ospedalieri. Il nostro auspicio è che questi medici decidano di rientrare nel sistema sanitario partecipando anche ai bandi di concorso”.
Detta così sembra facile, ma non lo è. Le strutture potranno chiamare liberi professionisti, con profili di trattamento economico diversificati, ma di fatto senza risolvere la carenza di personale e lo scarso richiamo che la struttura pubblica ormai esercita sui medici. Senza dimenticare che l’espatrio, più o meno esotico, è ormai un dato di fatto, la Svizzera come il Qatar per il medico italiano sono un’opzione primaria e la nuova generazione, trainata da quella un po’ meno giovane, considera il trattamento economico un parametro decisamente prioritario rispetto alla scelta professionale, che li vorrebbe innanzitutto al servizio dell’uomo, dell’umanità.
Il compenso dei medici dovrebbe essere alto, altissimo, nessuno può mettere in discussione questo principio e, come suona banale e trito doverlo sottolineare ogni volta, la salute e la sanità, come l’istruzione, sono i pilastri della nostra civiltà, del nostro saper essere uomini con coscienza. Eppure, persino attraverso le parole sferzanti di Bertolaso, sembra che non sia così e chi decide di fare il medico abbia innanzitutto in testa il compenso: “Una vergogna, lavorano 10 giorni al mese e poi vanno alle Maldive”, così a proposito dei medici gettonisti.
Non ha tutti i torti, sembrerebbe, anche se prima che ad altri la frustata andrebbe forse rivolta in modo risoluto alla sua parte politica, che in questi decenni ha sfasciato una sanità pubblica che funzionava e pur con qualche inciampo riusciva a essere accanto alla gente, soprattutto accanto alla povera gente.
Il medico è cambiato in questi anni, questa è la percezione della gente, il medico è più distante e, per restare in Lombardia, non può non avere a che fare con la politica di privatizzazione che ognuno di noi vede e tocca con mano ogni volta che ha bisogno della sanità pubblica ma deve ricorrere a quella privata, se vuole salvare la pelle e soprattutto se può.
Il medico è cambiato e non si può fare una colpa alla povera gente se ogni tanto ci pare un mercenario, che col giuramento di Ippocrate ha poco o nulla a che fare. Servirebbero forse regole ferree, se possibile, che impongano una disponibilità pubblica in prima istanza, se non fosse che qualcuno subito parlerebbe di dittatura. Il medico è cambiato, ma il giuramento no, ed è forse da qui che bisogna ripartire, se non è troppo tardi, da qui e da una solenne e umile autocritica per come è stata cambiata la sanità pubblica, se non è chiedere troppo, e temo lo sia.
Altrimenti, converrà parlare d’ora in poi di giuramento degli ipocriti, piuttosto, e vale per i medici come per i funzionari che devono mettere quei medici nelle condizioni di rispettarlo quel giuramento.
Giuramento di Ippocrate (un ripasso):
Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:
di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento;
di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l’eliminazione di ogni forma discriminazione in campo sanitario;
di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona;
di astenermi da ogni accanimento diagnostico e terapeutico;
di promuovere l’alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione, nel rispetto e condivisione dei principi a cui si ispira l’arte medica;
di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;
di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina;
di affidare la mia reputazione professionale esclusivamente alla mia competenza alle mie doti morali;
di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;
di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;
di rispettare e facilitare il diritto alla libera scelta del medico;
di prestare assistenza d’urgenza a chi ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’autorità competente;
di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato;
di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione.