CHIARA, L’AMICO KILLER E L’OSCENO ALVEARE DEGLI ESPERTI

di JOHNNY RONCALLI – Ora è il momento dell’omicidio di Chiara Gualzetti, 15 anni, a Monteveglio in provincia di Bologna, ma ogni volta ricompare il medesimo copione.

Giornali, trasmissioni radio, trasmissioni tv, ognuno deve avere il proprio perito di turno, ognuno deve ospitare una disamina che si presume specialistica sui moventi e sui paraventi che hanno spinto l’omicida a commettere l’efferatezza.

E allora è un fiorire di psicologi, psicoterapeuti, sociologi, imprecisati analisti che ci rifilano letture inevitabilmente grossolane, estratte dal manuale apposito, quello riposto sullo scaffale alla voce “disagio giovanile”. La società, la comunità, la famiglia, le fiction, i social, la noia, la fragilità psicologica dei giovani di oggi e via filati. Tutto vero, naturalmente, e tutto falso.

Esiste qualcosa di più insopportabile di un responso specialistico impulsivo su qualcosa che non si conosce, di fatto noto solo per sentito dire, per pura cronaca?

Perché di questo si tratta. Nessuno, tra coloro che si pronuncia, conosce i protagonisti, il contesto, la storia, e certo non conosce le menti di chi è coinvolto. Il ragazzo presunto colpevole e reo confesso da poco aveva iniziato a incontrare una psicologa, ma sono certo che lei per prima ci direbbe, o almeno dovrebbe, che non conosce la mente di quel ragazzo, né il contesto, né la storia. Stava giusto iniziando a conoscerli.

E invece tutti a diramar comunicati, a sdoganare cause, concause, avvisaglie e qualche arcano da svelare. Sono comunicati richiesti, per carità, nel senso che non sono spontanei e sono un po’ estorti per ravvivare l’informazione con il tocco dell’esperto, ma ciò non rende meno colpevoli, perché la deontologia a volte dovrebbe indurre alla reticenza.

Tutti lo facciamo in verità, tutti proviamo a indovinare una disamina sociologica degli eventi che ci circondano, ma di fronte a un evento tanto tragico, come si può, a caldo, sfornare ipotesi e congetture a buon mercato, quasi sempre a buon mercato e buone per tutte le stagioni?

Io non vedo gran differenza tra queste intraprendenti escursioni e i plastici di Bruno Vespa, con tutta la corte di esperti da salotto assiepata intorno.

Qui il plastico c’è comunque, la scena del crimine è la mente dell’omicida, la planimetria vista dall’alto non manca, a partire dall’anticamera del cervello, dove il crimine è stato ideato e generato. E poi a seguire tutte le altre stanze, inclusi ripostigli e sottoscala dove la memoria, il movente e le coscienze dovrebbero trovare ricovero.

Su questa stomachevole tendenza dovrebbero pronunciarsi gli specialisti, non sui moventi dell’omicidio. Su questo e sulle possessioni e sui satanismi ai quali pare appellarsi l’avvocato del presunto colpevole, con la sensazione che si voglia immancabilmente approdare all’incapacità di intendere e di volere prima di qualsiasi punto fermo, per default, in automatico. Lo stesso papà di Chiara, che conosceva il ragazzo, insinua il sospetto che stiano confezionando il matto per attenuargli il castigo. La chiamano tecnica difensiva, ma almeno ogni tanto potrebbero lavorare di fantasia e puntare su qualcosa di più originale. Le visioni, le voci, i comandi del diavolo: per quanto macabro, è ormai uno stereotipo banale e stucchevole. Nella mente di un sedicenne che arriva a tanto c’è sicuramente qualcosa di più insondabile.

Sia quel che sia, ma io una sola cosa vorrei, da parte di tutti i presunti esperti interpellatii.

Sarebbe confortante, paradossalmente, che a questa conclusione si limitassero: di fronte a una simile atrocità, ho una sola cosa intelligente da dire ed è questa, non ho niente di intelligente da dire.

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