di GIORGIO GANDOLA – «Se tu sei stato candidato al Nobel, io a Miss Italia». «Hai ragione, devi fare le passerelle a Miss Italia, ma senza aprire bocca».
Lo scambio di battute degno di comici decaduti o di giornalisti pop (la scelta è ampia) meriterebbe un unico sprezzante commento: ecco due scienziati. Il problema è che lo sono veramente. Il titolare della prima frase è Roberto Burioni, popstar cotonata dei virologi italiani; il secondo è Giulio Tarro, insigne epidemiologo napoletano che ha avuto l’ardire di mettersi di traverso rispetto al collega.
La teoria di quest’ultimo, non sottoposta al tampone del primo, sarebbe che «tra due mesi il Coronavirus ci abbandonerà da solo come tutti i corona influenzali».
La tesi ha gettato nello sconforto Burioni, ormai avvezzo alla sua passerella quotidiana: stare in Tv a spiegare che dobbiamo lavarci le mani «anche sul dorso» e mettere la mascherina sulla bocca, non sulla nuca.
La lite da ballatoio, livello social, ci rivela due verità. Una confortante e l’altra disarmante.
La prima è che dobbiamo messianicamente avere fiducia nei medici, nei virologi, negli scienziati anonimi che nel silenzio dei loro reparti e davanti ai loro microscopi si stanno facendo un mazzo a colori per sconfiggere il maledetto agente patogeno cinese e ridarci la libertà.
La seconda verità è che questi 40 giorni di sospensione dell’esistenza hanno forgiato una nuova categoria televisiva: il mastervirus.
Così come il criminologo da salotto ci devastò l’anima risolvendo anche l’agguato a Giulio Cesare (tu quoque) fra Cogne e la strage di Erba; così come l’economista bocconiano ha cominciato ad ammonirci a colpi di spread nell’era Monti (e non ha mai smesso); così come il masterchef è uscito dalle cucine con filosofie della casseruola nell’era Cracco; così come anche le archistar da bilocale hanno preso il sopravvento nell’era City Life; ecco che l’Italia in clausura vede sfilare tutte le sere infallibili e narcisi mastervirus.
Eleganti, forbiti, master all’estero e titolari di ruoli operativi che presupporrebbero la presenza h24, riescono nel miracolo di stare contemporaneamente in laboratorio e in tv.
Spesso in contraddizione con il collega del programma precedente, il mastervirus non sbaglia una previsione perché ha una caratteristica vincente: la solennità nel dire l’esatto contrario rispetto a due settimane prima. Si sa che gli italiani hanno una memoria cattiva quasi quanto la coscienza, quindi non è difficile per Burioni (un esempio a caso) passare dal «In Italia il rischio è zero» (2 febbraio) al «Bisogna chiudere tutti in casa come a Wuhan» (10 marzo).
Nel mezzo ha trovato anche il tempo per scrivere il libro «Virus, la grande sfida», con proventi peraltro nobilmente devoluti in beneficenza per la ricerca scientifica.
E la solenne austerità della scienza? Oggi nulla e nessuno può resistere alle lusinghe televisive e al «dottò, l’ho vista ieri sera sul cinque, quante gliene ha cantate». Una debolezza e un destino.
Così, in queste sere di sfinimento, quando il virologo di turno annuncia che «c’è poco da stare allegri perché a ottobre arriva il Covid-20 e sarà anche peggio», noi ipocondriaci senza scampo abbiamo due reazioni. La prima è di sincera preoccupazione per una previsione che merita rispetto. La seconda è di stupore per la smorfia luciferina del mastervirus di turno nel pronunciarla. Ci sta dicendo: «Tranquillo, a consolarti e a fare audience ci sarò anch’io».