C’E’ ANCORA QUALCUNO CHE DA’ CORDA A FARINETTI

Nei libri di arboricoltura generale si è soliti leggere che il Fico (Ficus carica L., 1753) è una pianta longeva, che se coltivato con le opportune cure colturali può diventare secolare, malgrado la struttura del suo legno non sia tra le più resistenti.

C’è però un FICO che evidentemente non è stato curato come da manuale e malgrado le cure, le concimazioni e i ripetuti interventi irrigui, si dice che stia attraversando una fase fisiologica molto critica che lo porterà, quasi certamente, all’espianto.

Questo FICO si trova a Bologna.

E già questa è un’anomalia, considerato che essendo una pianta ‘mediterranea’ predilige le regioni centro-meridionali della nostra Isola.

Una scelta improvvida quella di impiantare un FICO dove forse non vi erano le migliori condizioni pedoclimatiche. Ma l’imprenditore che lo ha trapiantato era, ed è, talmente pieno di sé, da trascurare anche le più basilari regole dell’agronomia.

Eppure questo imprenditore ha sempre fatto sfoggio di ottime conoscenze delle nozioni che riguardano l’agricoltura, dispensando a reti unificate consigli e saperi su tutto quanto riguardasse il settore agricolo.

Uno dei primi e più eclatanti sermoni che ci siamo sorbiti e che ci ha illuminati sul personaggio (per i pochi che non l’avessero individuato stiamo parlando di Natale Farinetti, meglio conosciuto come Oscar, anche il nome fa più FICO), è stato dedicato circa sei anni fa alla presunta superiorità del grano desertico statunitense e soprattutto di quello canadese rispetto al grano nostrano (https://www.youtube.com/watch?v=FCQMCHYpo7w).

Nel video in questione, il ‘nostro’ faceva da sponda all’amico Barilla, secondo il quale una pasta che escludesse il grano canadese (noto per le contaminazioni da glifosate) doveva costare circa 2 € al piatto. Al piatto badate bene, non al kg.

Se l’obiettivo era inimicarsi e infangare la storia millenaria dei nostri contadini, questo era stato raggiunto immediatamente ed in maniera mirabile.

Una terra che da seimila anni conosce i cereali, i cui primi spaghetti fu raccontato si producessero in Sicilia già dal 1100, improvvisamente scoprì che non produceva grano duro di qualità, o almeno di una qualità degna del nostro Farinetti.

Accade anche questo.

Ma non pago di questa elargizione di sapere, Farinetti, poco tempo dopo, ospite di “Deejay chiama Italia”, presentando uno dei suoi innumerevoli libri (evidentemente il tempo non gli manca), parlando di grano e suoi derivati dichiarò: «…per poi arrivare nei secoli a questa meraviglia, la farina bianca», in spregio a tutte le evidenze scientifiche che segnalano la superiorità del consumo di cereali integrali rispetto a quelli raffinati.

Ma ancora non pago, insieme al suo sodale Flavio Briatore, si recò in visita (con Jet privato) in Sardegna, per manifestare la propria solidarietà ed ergersi a paladino delle sacrosante proteste dei pastori sardi, che all’epoca riversavano il loro latte in strada, perché retribuito non dignitosamente.

I due alfieri presero il solenne impegno di aiutare la diffusione del Pecorino sardo nei vari “Billionaire” ed “Eataly” dispersi qua e là per il mondo. Purtroppo non si segnala un numero sufficiente di comande di champagne con annesse candele e pecorino sui tavoli di questi locali, tale da risollevare la condizione economica dei pastori.

Per non parlare della sua esternazione all’evento “The future of the Italian food system between innovation, safety and sustainability”, in occasione dell’Expo 2020 Dubai, ove dichiarò: «Nel futuro, vorrei che il 100% dei prodotti italiani fossero biologici. Se dipendesse da me, dichiarerei obbligatoria l’agricoltura biologica da tre a cinque anni. È possibile”.

92 minuti di applausi, altro che Fantozzi.

Questa uscita di Farinetti sul biologico, condivisibile dal punto di vista della sostenibilità ambientale e sociale, è purtroppo difficilmente praticabile, in così breve tempo a livello agronomico e industriale.

Ma questo è un dettaglio, per un bravo imbonitore, come peraltro proseguire l’attività delle aziende ‘convenzionali’ non rientra nell’alveo dei suoi interessi.

Oppure nei giorni scorsi, come un moderno Nostradamus, nel pieno di un impeto Mendelian/Darwiniano ha dichiarato che “Senza biotecnologia tra 4 anni non avremo il Barbera”. Definitivo.

Ma veniamo all’ultima sua impresa, che si appresta a diventare mirabolante, ovvero quello che da più parti viene annunciato come l’espianto del FICO.

Quella che doveva essere la Disneyland del food italiano, realizzata a Bologna, si appresta ad un’inevitabile chiusura. Dopo fiumi di denaro sprecati nella megalomania.

Ma, come riporta la testata on line ‘Affari Italiani’, prima di procedere alla chiusura, il nostro Oscar si avvarrà di un prestito di 2 milioni di euro erogato dal Comune di Bologna.

Un amico Farinetti lo trova sempre.

A volte sono proprio gli amici che fanno il nostro male, quelli che anziché metterci in guardia dai nostri difetti ci incoraggiano a continuare e ci invitano dove sarebbe meglio escluderci.

Ora ci sono due considerazioni da fare.

La prima è che Farinetti di amici ne ha veramente tanti, nell’Italia degli amici, e questo gli fa onore. Forse, magari, chissà.

La seconda è che si è circondato di amici munifici, disposti sempre ad aiutarlo, che dispongono di fondi illimitati: peccato non siano i loro.

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