Sul fatto in sè, compresa la tua riparazione parecchio claudicante e ambigua, per niente risolutiva, ha già scritto su @ltroPensiero.net, con la sua grande sensibilità, Tony Damascelli. Dunque non sono qui a seccare te e la gente che legge con un’altra omelia, tardiva e superflua. Questa lettera è solo per rinfacciarti una questione per me vitale e superiore, che non hai minimamente toccato, che non ti ha sfiorato nemmeno di striscio, ma che mi sarebbe proprio piaciuto sentirti squadernare, come soluzione finale del brutto sfondone.
Sì, caro Antonello: sono qui per dirti che hai perso una grossa occasione, non tanto per dire o non dire qualcosa, ma per aggiungere qualcosa alla tua vita. Parlo di qualcosa che forse ti è oscuro, e proprio per questo mi delude e mi addolora. Parlo del piacere immenso, del piacere sublime, che un grande artista (ma anche piccolo) dovrebbe provare quando riesce con la sua arte – musica, cinema, pittura, scrittura, eccetera – a smuovere certe corde in certe persone, le più complesse e diremmo oggi le più fragili (anche se neppure tu mi sei sembrato così forte, a Barletta).
Spero ci si possa capire. E’ facile per un grande cantante far ridere e piangere le masse del pubblico normale, smuovere sentimenti ed emozioni, ma è tremendamente complesso arrivare dentro il cuore della disabilità psichica (la vera disabilità, perchè uno che ha perso un braccio resta comunque consapevole di sè, ma uno senza coscienza di sè è sperduto nell’universo, senza possibilità di connessione, tremendamento chiuso davanti al mondo). E’ questo che vorrei dirti, caro Venditti: avere al tuo concerto di Barletta una disabile, che magari a modo suo può creare qualche sconcerto nel concerto con versi e atteggiamenti naif, comunque avere una disabile che ascolta Venditti e magari si diverte, si emoziona, si commuove con Venditti, dovrebbe bastare per una vita intera, dovrebbe dare un senso compiuto e totale alla tua arte e alla tua vita, perchè davvero è il massimo di qualunque risultato. Smuovere certe anime, anche solo intrattenerle per un paio d’ore, regalando loro sensazioni insondabili e sconosciute, ma sufficienti per un sorriso e anche per un verso fuori luogo, secondo me resta il più grande dei capolavori. Un capolavoro alla portata di pochi. Tu l’avevi lì, sotto al palco, una creatura così. Venuta lì, portata lì, per viaggiare lontano sulle tue note. Sei stato capace soltanto di insultarla e rimproverarla. E anche dopo, a equivoco chiarito, non hai comunque colto l’occasione per capire. Per apprezzare. Per girare in ricchezza, più tua che sua, una presenza così originale e anche, sì, così rumorosa.
Si dice che nessuno come gli artisti sia egocentrico e innamorato di sè. E forse è anche il caso tuo. Dico forse, perchè non lo so con certezza e non mi azzardo a tirare conclusioni. Ma resta inteso che in questo caso, a Barletta, non ti è riuscito di alzare la testa dal tuo ombelico, guardando l’episodio dall’alto, da un’altra visuale, magari anche arrivandoci dopo, ragionandoci a freddo. Hai parlato di concerto complesso, di tensione inevitabile. Tutta roba tua. Però in quella situazione non hai per niente colto il risvolto più umano e più alto della serata: una disabile era lì per te, per la tua musica, per la tua arte. Anzichè ringraziare il Cielo per questa grazia, te la sei presa per quel suo modo strambo di esprimersi.
Antonello, resti un grande artista. Ma come uomo evidentemente manca ancora qualcosa. Non è mai troppo tardi, si può sempre crescere. Resta inteso che quella ragazza non ha bisogno di buona educazione. Va bene così com’è, anche perchè non può scegliere di cambiarsi. E’ a te che manca qualcosa, qualcosa di bello e di grande: la buona educazione davanti alla meravigliosa e insondabile diversità del creato.
Bravo Cristiano, il sig. Venditti ha l’obbligo di scusarsi se è uomo