CARO @ltroPensiero, SOGNO CHE IL COVID GUARISCA LA SCUOLA

Riceviamo da una lettrice molto profonda e stravolentieri pubblichiamo:

di CRISTINA DONGIOVANNI – Cari studenti gioite, l’anno scolastico è finito!

Finalmente siete in offline didattica! Le videolezioni vanno in vacanza, e speriamo che ci restino almeno per un po’! Si, lo sappiamo, l’innovazione tecnologica nell’istruzione è un nodo importante per la cultura del futuro, potrebbe regalarci nuove prospettive, nuove visioni metodologiche.

Potrebbe pure riuscire a dare una botta di vita alla nostra nonnina istruzione che ci portiamo dietro da 70 anni e che francamente, oltre che zoppicante oggi è pure ipovedente e ogni tanto sbatte contro qualcosa di pesante e si fa male, poverina. Soprattutto quando le fanno percorrere sentieri impervi e sconosciuti, dove incontra ostacoli grandi come il covid-19.

Ma dopo quello che abbiamo visto durante questi mesi, l’innovazione tecnologica francamente la rimanderei almeno un pochino, auspicando che non si tratti ancora di aspettare quando i nostri figli, attuali “discenti” (che im-parano, si procurano sapienza), diventeranno nonni.

Sarebbe sì un’occasione da prendere per le corna quella dell’e-learning, ma se chi la deve prendere non sa ancora distinguere tra le corna e la coda, prima è meglio insegnargli da che parte si deve guardare il mezzo, quali vere opportunità offre in più, cosa toglie e cosa aggiunge. Insomma prima è meglio intervenire sulle competenze e sul loro controllo, pesantemente.

Non sto parlando del know-how tecnologico che ti permette “smanettare” con le piattaforme, scaricare app, creare stanze, liste utenti, inviare link, modificare le videate, condividere file/contenuti.

Per quello i corsi attivati nella fase 1 sono stati veramente tanti. Soprattutto dei provider che facevano a gara certo ma anche degli enti accreditati dal Miur come So.Ge.S.

Più che sufficienti per non lasciare spazio alla disinformazione e alle difficoltà oggettive di approcciarsi spesso per la prima volta a strumenti nuovi e totalmente sconosciuti.

E’ un aspetto oggettivo certo, ma anche comodo su cui molti si sono soffermati troppo a mio parere, affrancando i docenti dalle critiche e aiutandoli a vestire ancor meglio i panni degli eroi.

Troppo altisonanti gli elogi, e purtroppo spesso inopportuni, anche se sono certa che molti insegnanti siano stati in gamba e abbiamo saputo attingere alle proprie risorse e competenze egregiamente e senza riserve, come molti lavoratori che in altri ambiti hanno affrontato lo smart working molto professionalmente senza essere incensati.

Mi riferisco invece al come gli insegnanti si sono accostati alla presenza virtuale, all’approccio quindi, alle strategie metodologiche che dovrebbero creare un ponte di vero scambio, che dovrebbero sfruttare al meglio tutte le potenzialità della comunicazione a distanza.

Perché delle potenzialità esistono eccome. Proviamo a non negarle, proviamo a pensare che il tempo e lo spazio utili esistano anche mettendo tra il docente e il discente un mezzo d’avanguardia, anche se più freddo e più angusto. I bambini ed i ragazzi possono essere affascinati da una modalità di apprendimento diversa, addirittura rapiti da un nuovo coinvolgimento. Possono sentirsi più protagonisti se diventano loro parte attiva del processo utilizzando in prima persona gli strumenti informatici, ed impostando essi stessi un percorso più narrativo, di ricerca, di scambio con il docente. Ecco l’occasione da cogliere, l’insegnante dovrebbe sapere divenire guida, non fonte educativa unilaterale. Così la videolezione, cioè mettere della distanza fisica, potrebbe creare spazi per lo studente ed allo stesso tempo costruire momenti di condivisione e di confronto più attivi, un contenitore di creatività conoscitiva anziché una cornice in cui si consuma l’ora di una materia. Un approccio che sicuramente darebbe più responsabilità al discente e forse favorirebbe la sua più naturale predisposizione alla curiosità. E non parlo solo dei più grandi, penso a cosa avrebbe fatto Rodari durante il lockdown, come avrebbe colto il momento per collegare le menti, elargire speranze, giocare con i testi didattici, trovare spunti per dare ordine alle emotività così pesantemente toccate e si, riuscire a istruire.

Esistono metodi a dir poco “rivoluzionari” per la nostra scuola, conosciuti e apprezzati ma sempre tenuti ai margini, sempre trattati con diffidenza dall’Istituzione, come il flip teaching, nelle sue varie declinazioni; metodi che traggono spunto dallo sguardo montessoriano, che si finge di adulare in più ambiti ma che non riesce mai (almeno lo sguardo dico) ad ottenere l’approvazione bigotta delle cattedre dirigenziali. Metodi che permettono di sviluppare percorsi di apprendimento più spontanei ma sicuramente più interessanti e molto meno tediosi.

Certo non me la sentirei mai di affermare che il contesto scolastico non sia un contenitore unico ed importantissimo per i nostri studenti. Proprio per la sua fisicità, la sua collocabilità emozionale, le sue ritualità, la sua bellissima occasione di creare aggregazione tra coetanei e un rapporto più diretto con gli insegnanti. Ma l’introduzione di una dad sapiente e positiva soprattutto, potrebbe essere un ottimo veicolo di new teaching, di innovazione in modalità mista che finalmente potrebbe essere la svolta culturale che aspettiamo da troppo tempo. Potrebbe riuscire ad entrare nelle aule passando dalla finestra del web invece che passare dalle porte chiuse da insegnanti troppo poco stimolati.

Ma senza preparazione, senza il cambio di rotta istituzionale, non si va da nessuna parte purtroppo. Ed è un gran peccato, forse servirebbe una rivoluzione per la scuola, bisognerebbe arrabbiarsi almeno quanto ci si arrabbia per le tasse, per il lavoro, per il calcio (sig!).

Vi riassumo la mia esperienza. In un momento in cui da mamma stavo per “sbroccare”, circa un mese fa, mi sono data un paio di lezioni di yoga e sono riuscita a pensare che non poteva essere; qualcosa mi sfuggiva se stavo assistendo alle lezioni di mia figlia e mi sembrava di stare in un collegio dei primi del ‘900. Risparmio gli esempi, vi dico solo che la modalità era lontana anni luce da un approccio propositivo, colloquiale, empatico, vitale e motivante. E la cosa che mi ha fatto più tristezza è stata sentire ripetere spesso: dobbiamo fare lezione come se fossimo a scuola, ripeto come se fossimo a scuola. Dunque non si intravedeva il contesto differente? No, solo la rincorsa del programma intrapresa per non saper ritrovare e colmare gli spazi ed i tempi tolti dalla didattica in presenza.

Mi sono rattristata molto e mi sono messa a cercare; ho trovato la Miniguida per i docenti sulla didattica a distanza di Agia (Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza). E’ breve ma perfetta, calata nel contesto problematico e straordinario della pandemia, si può riassumere in un paio di righe volendo, e contiene tutti i principi a cui si dovrebbe concretamente ispirarsi l’azione del docente.

Sostanzialmente quelli enunciati sopra, pure arricchiti da esempi pratici che non lasciano spazio a interpretazioni e mirano concretamente ad aiutare gli insegnanti.

Dunque, facendo due più due, non l’abbiamo letta questa guida? Era come tutto il resto “facoltativa”, messa li per abbellire il sito del Miur? Come “facoltativa” è stata la didattica a distanza in questi mesi? Se lo ritenete opportuno la fate altrimenti no, sacrosanto il vostro diritto a rifiutare il metodo a distanza?

Questa l’ha messa in bella il capo del dipartimento ministeriale Marco Bruschi, e chi poteva obiettare? Dietro c’è il richiamo all’art.33 della Costituzione, andate a leggerlo. In pratica mentre gli studenti hanno diritto all’istruzione ma pochissimo diritto di espressione vera delle proprie peculiarità e potenzialità creative nel processo di apprendimento, i docenti hanno diritto a scegliere in tutto e per tutto come e cosa insegnare. Fanno eccezione solo alcuni richiami ad eventuali limiti morali o di sicurezza (mi vien da sorridere), per il resto carta bianca!

Capirete che guardando questa realtà, prima di parlare di mutazione genetica della didattica, bisognerebbe cambiare i connotati alle modalità di intervento dello Stato sulla pratica dell’istruzione.

Inutile sprecare inchiostro con belle parole, audaci propositi di modernizzazione strutturale, se chi ha in mano i nostri figli è veramente poco controllato. Sono certa di non osare troppo affermando ciò, è palese che il libero arbitrio nel contesto istruzione voglia dire semplicemente fate vobis, noi diamo delle direttive di massima, voi declinate pure come vi pare.

Questo può voler dire un disastro, totale noncuranza, pressapochismo, assenteismo autorizzato, ed anche purtroppo parecchia arroganza. Oppure, dove esiste volontà, totale disarmo di fronte alle sfide della modernità e della tecnologia perché manca una guida vera, obbligata, istituzionale e valutante. Mentre scrivo deploro dal più profondo chi non ha capito niente o peggio chi fa finta di non capire, mi metto nei panni di chi vorrebbe fare di più ma è lasciato a se stesso da chi dovrebbe gestire e organizzare (i dirigenti scolastici territoriali) e ringrazio con tutto il cuore chi ce la mette tutta e riesce. Chi è umile e si informa, si rinnova veramente, cerca di usare cautela, cerca alternative per coinvolgere, per far amare lo studio.

Sono troppo critica? Forse, ma della ministra Azzolina che in tv tutta orgogliosa ha affermato che il 96% delle scuole ha attivato la didattica a distanza non me ne faccio granché. E’ un dato intanto che parla di scuole e non di insegnanti (diversi si sono rifiutati di fare lezione, no erano obbligati, pagati regolarmente si però), è un dato che non dice nulla sulla qualità, è un proclama vuoto di controllo. Scandalosamente vuoto di controllo. Prima di tutto verso le dirigenze scolastiche (basterebbe dare un occhio ai siti delle scuole per capire chi ci ha messo un dito in più e chi ha ritratto la mano intera), poi verso le professionalità che danno un servizio “per il futuro”, come dice lei.

Ora con il nuovo Decreto Scuola, fortunatamente, la possibilità di fare didattica a distanza è divenuta un obbligo, cara grazia. Mi posso aspettare che cambi qualcosa almeno da qui a cinque anni? L’urgenza coronavirus ha creato le condizioni per rivedere l’Istruzione? Possiamo sperare che un evento tanto negativo quanto epocale come quello in corso riesca a smuovere qualcuno e qualcosa?

Vedremo, ma per la rigidità che ho avuto occasione di vedere ho poche speranze. Il quadro della situazione è tutt’altro che incoraggiante.

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