CARO BAMBINO, ASCOLTA LA MIA FEDE ARRABBIATA

Non dovrei nemmeno pensarlo, ma è impossibile rinunciarci. Quei morti di Ravanusa e altri nei terremoti e nelle alluvioni, tragedie che colpiscono borghi sconosciuti e terre lontane, vittime anonime, strazi di famiglie distrutte: Dio dov’eri?

Distratto forse a St. Moritz o tra le dune di Dubai, o ai tavoli dei casinò di Las Vegas, luoghi dove la vita e la terra scorrono via senza un sussulto, immacolate le case, lucide le vetrine, non c’è segno di disperazione.

Dobbiamo tenere duro, la fede è la colla calda che regge l’urto di emozioni e di rabbia. Ma troppe domande saltano fuori mentre scorrono le immagini di quei crolli, il suono di voci disperate, lacrime a rigare volti, le sirene delle ambulanze, un inferno entrato nella nostra quotidiana esistenza, l’assuefazione al dolore.

Dovremmo indossare la mascherina per proteggere gli occhi da visioni tragiche e poi la domanda d’avvio ritorna, tra un’ave maria e un padre nostro, perché? Per chi? Dove ti sei nascosto? Perché non offri un segnale vero? Perché non spieghi a quella povera gente, credente forse, magari in procinto di dare al mondo una nuova creatura? Dove sta la Tua manifestazione? Dove la Tua grazia? Nella terra spaccata? Nelle vite frantumate? Nei fiumi esondati? Nel cataclisma di un virus che non ha fine?

Forse è meglio non concedere nulla alla ragione, ma nemmeno al sentimento. Forse è meglio riflettere il tempo del silenzio dinanzi all’evento, per ritornare, un amen dopo, al susseguirsi di fatti anche quelli senza un motivo di essere e di esistere.

Dicono che la vita sia tutto quello che accade mentre di altro ci occupiamo. Altro? Lo sai soltanto Tu e continui a nascondercelo.

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