CARLO, IL VERO BEATO E’ CHI L’HA CAPITO DAVVERO

di TONY DAMASCELLI – Non è soltanto una questione di fede. E sarebbe già questa una impresa ardua, nell’aria maligna che ci sfiora ad ogni respiro. Pensare a Carlo Acutis, osservando, davanti alla teca, il suo volto sereno, un corpo dormiente, intatto nel e dal tempo che è trascorso dall’ultimo giorno della sua vita, nessuna smorfia di dolore o di sofferenza, nessuna stimmate di morbo, pensare, dunque, comporta fatica nel comprendere.

E qui si accende una specie di ribellione: perché Dio, quel Dio al quale si rivolgeva Carlo, nei quindici anni di speranza e di missione, perché quello stesso Dio lo ha strappato ancor prima che sbocciasse del tutto la sua esistenza di adolescente? Dove era Dio in quei momenti in cui Carlo Acutis aveva scoperto di essere malato, fragile nel corpo ma ancora più forte nello spirito?

Stava altrove, come sosteneva Oscar Wilde nel suo aforisma: “La vita è tutto quello che accade mentre ti occupi d’altro”? C’è un Dio, questa è la domanda osservando le spoglie del ragazzo assopito, ci deve essere una spiegazione, un motivo che soddisfi la nostra rabbia e la nostra inquietudine, che ci porti via dall’inferno dei cattivi pensieri.

La storia di Carlo Acutis è così bella, non trovo un altro aggettivo, così fresca e impossibile e imprevista per la sua naturalezza, mentre stampiamo titoli su influencer e tossici, gioventù bruciate, assassini e suicidi, anoressie e bulimie mentali, sofferenze psicologiche, alibi di vite vissute troppo in fretta. Eppure Acutis la sua vita l’ha saputa vivere, giocando con internet, eppure Carlo dialogava sul web, pregava e scherzava, non esibiva la fede, la sua devozione non era esagerata, ostentata, comunicava la quiete che non era semplice mitezza ad altri giovani e non soltanto, quelli che adesso lo celebrano come il primo beato dell’era digitale, il primo santo dei millenials, l’influencer di Dio, ricorrendo al solito etichettificio fastidioso, un bignamino di parole tanto per catalogare e mettere in archivio un caso, un fenomeno così lontano, anche strano, addirittura folkloristico per chi non frequenta la religione, la disprezza quasi, deridendone riti e credenze.

Esiste un pericolo (dis)-umano: che diventi oggetto di dibattito nei salotti televisivi, pretesto per divisioni, contrasti, strilli tra i pro e i contro, prima della pubblicità e dopo gli applausi. La sua beatitudine merita silenzio e, poi, riflessione. Viene ripetuta una sua frase: “Tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie”. Non è il caso di Carlo Acutis, osservando quella teca: lui è nato come fotocopia di mille altri coetanei, ma ha vissuto, per poi morire, come originale.

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