CARA LIBERTA’ / 4

di MARIO SCHIANI – Cinque giornalisti, tra cui il direttore, arrestati. Trentotto computer sequestrati e, come se non bastasse, minacciosi inviti ai lettori: non diffondete certi articoli di questo giornale altrimenti finisce male. Il giornale è l'”Apple Daily” di Hong Kong, quotidiano di taglio popolare che, da sempre, è schierato per il fronte democratico contro quello filo-governativo, alleato, per non dire succube, del regime di Pechino.

L'”Apple Daily” ha già offerto alle galere della città nientemeno che l’editore, Jimmy Lai, sul quale pesano più condanne per partecipazione ad “assembramenti non autorizzati”, per un totale di 20 mesi di reclusione. Formalmente sotto accusa ora è anche il direttore Ryan Law: accusato di violazioni della legge sulla “sicurezza nazionale”, il testo che in pochi mesi ha permesso di ridurre al silenzio l’opposizione e di bollare come “antipatriottica” qualunque opinione non allineata con il potere centrale.

Che cosa ha scritto l'”Apple Daily” per meritarsi un raid poliziesco, condotto in redazione da centinaia di uomini in uniforme? In alcuni articoli, secondo l’accusa, il giornale si sarebbe spinto a invitare i governi di Paesi stranieri a imporre sanzioni a Hong Kong e alla Cina in risposta alle violazioni sui diritti umani e alla Basic Law della città, nonché agli attentati contro la libertà di stampa.

Risposta del governo: una bella stretta alla libertà di stampa medesima. Se il sovrintendente di Polizia Li Kwai-wha ha rivolto ai lettori l’invito a non diffondere tali articoli (segno evidente della consapevolezza che nell’opinione pubblica esiste una sensibilità tale sul tema per cui un effetto-boomerang del raid era stato preso in considerazione), il segretario per la Sicurezza John Lee ha pronunciato con la sua solita sonnacchiosa pacatezza parole anche più gravi, invitando in conferenza stampa i giornalisti dell'”Apple Daily”, e in generale i reporter di Hong Kong, a “tagliare ogni relazione” con i colleghi arrestati preparandosi, in caso contrario, a pagare un “pesante prezzo”. Un commento che ancora una volta tradisce timore per la reazione di protesta che potrebbe scaturire da una categoria, e da un’opinione pubblica certo intimidita dalla “normalizzazione” imposta da Pechino, consapevole di essere esposta ad accuse arbitrarie di “tradimento” e di “sentimenti antipatriottici” a pura convenienza del regime, ma non ancora del tutto rassegnata.

Lo dimostrano le cinquecentomila (leggasi 500.000) copie dell'”Apple Daily” andate esaurite in edicola il giorno dopo il raid. Sopravvive la speranza. La libertà se la passa malissimo.

 

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