CAPITANI, LEADER NO GREENPASS: FACCIA IL PIACERE

Per la serie “anche Gengis Khan una volta aiutò una vecchietta ad attraversare la strada”, mettiamoci comodi e ascoltiamo le ragioni di Gian Marco Capitani, uno dei leader del movimento “no Green pass”, arrivato al centro dell’attenzione mediatica per un attacco, dal palco di Bologna, a Liliana Segre, sopravvissuta di Auschwitz e presidente della Commissione straordinaria per il contrasto all’odio e all’intolleranza del Senato.

Capitani, microfono alla bocca, aveva proclamato dal palco che la signora, 91 anni, “deve sparire da lì”. Frase che ha sollevato una bufera e che ora lo sventurato leader cerca di contestualizzare, precisare, definire, ritagliare e, solo in parte, ritirare. In sostanza, la difesa di Capitani è questa: ho sbagliato a dire “sparire”, espressione che riconosco infelice, ma io intendevo dire che Liliana Segre da presidente della Commissione contro l’intolleranza si è dimostrata intollerante contro di noi, i “no Green pass”, e dunque non può rimanere in quella posizione. Io – dice Capitani – non sono né fascista né antisemita, sono di sinistra e non ho mai negato la Shoah. Il fatto è – e qui è meglio incominciare a citarlo tra virgolette – “che nell’ultimo anno e mezzo non si contano le frasi violente e le istigazioni alla violenza espresse nei confronti di chi ha una diversa opinione sulla campagna vaccinale in corso. Su questo avrei voluto sentire una parola da parte della senatrice. Non è forse istigazione all’odio far passare l’equazione manifestanti uguale terroristi?”.

Dunque, secondo Capitani tutto il problema sta in un verbo malposto, in un’espressione infelice scelta nella foga, nel trasporto dell’indignazione. Ora, dice, “mi hanno fatto nero” per quello che ritiene essere un inciampo nella lingua, un infortunio nella selezione di un lemma dal vocabolario mentale: la vittima, in fondo, continua a essere lui, il coraggioso che, con altri, “non si allinea al pensiero unico” e che per questo viene attaccato.

E allora: possiamo perdonare Capitani come faremmo con chi incorre in un lapsus, in un banale infortunio linguistico? In fondo è vero che i social diventano poi poligono di un facile tiro al bersaglio e che Capitani nelle ultime ore se ne sarà sentite dire di tutti i colori. Possiamo dunque assolverlo perché in fondo ha solo sbagliato una parolina e i cattivi siamo noi che non lo abbiamo capito?

No.

L’espressione usata da Capitani sarà pure frutto di disattenzione, ma si incastra perfettamente nel delirio comunicativo in corso, che rifiuta il pensiero a favore dell’invettiva e così facendo annulla ogni proporzione culturale e storica. Tanto è vero che lo stesso Capitani torna su un punto caro a chi la pensa come lui: “Lei più di altri – ha detto rivolgendosi a Liliana Segre – può comprendere cosa significhi essere segnati con una sorta di marchio d’infamia”.

Rieccoci con l’equazione davvero disgustosa: il Green pass come la stella gialla imposta agli ebrei, l’obbligo di certificazione come l’Olocausto. Un paragone insultante e ridicolo, che deve essere respinto alla radice, perché non solo è falso ma è pure tossico e inquinante: avvelena la falda del nostro pensiero, della nostra concezione della Storia e di conseguenza anche del presente storico.

L’agenzia Ansa ha diffuso nelle scorse ore la fotografia di una manifestante “no Green pass” che inalberava un cartello: “1938 leggi razziali – 2021 Green pass”. Sabato, a Lecco, novanta persone si sono radunate in un parco per recitare un mantra contro il Green pass. “Venerdì – ha spiegato la loro leader – alla mostra allestita al Quirinale è stata aperta la porta dell’inferno per la celebrazione dei 700 anni della morte di Dante Alighieri. A livello esoterico ha decretato l’inizio del rituale satanico atto a concretizzare una vera e propria coercizione attraverso l’obbligo del Green pass che è entrato in vigore proprio in quella data”.

Va bene: qui saremo pure in un angolo parecchio remoto dell’iperspazio mentale, ma i riferimenti alle leggi razziali, all’Olocausto, alle dittature sono ancora frequentissimi nelle piazze. I paragoni tra Draghi e Hitler sono comuni e pretenderebbero di essere presi come storicamente accurati. Che chi rifiuta Green pass e vaccini abbia diritto di dirlo e perfino di gridarlo è sacrosanto. Faccia pure, si sfoghi. Ma che da mesi e mesi si pretenda di avere la nostra attenzione sostenendo che Draghi è Hitler (e Di Maio chi sarebbe? Ribbentrop?) e che, scientificamente, 2+2 può fare anche 5 incomincia a diventare stancante e noioso.

Capitani da parte sua ha perso una bellissima occasione per scusarsi con Liliana Segre e ricominciare daccapo. Magari leggendo un bel libro di Storia.

 

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