Nato come piattaforma di messaggistica istantanea “segreta”, si è rapidamente evoluto anche nel broadcasting assurgendo in tutto e per tutto a un canale social: su Telegram infatti si possono fare dirette cui possono partecipare gli iscritti al canale, per esempio, ma anche pubblicare e commentare articoli, post e quant’altro.
In realtà, Telegram sceglie di non offrire di default la crittografia end-to-end per le chat standard così come per gruppi e canali. Tutti i dati vengono quindi salvati sui server della società dove risultano accessibili. Semplificando: tutto ciò che transita dai server di Telegram lascia una traccia in chiaro che può potenzialmente essere estrapolata, grazie al fatto che l’azienda ne conserva le chiavi di decrittazione. Oggi infatti le app Signal e Threema vengono considerate più sicure e riservate.
Sappiamo benissimo che la morte della privacy fu istantantea, avvenne immediatamente dopo la creazione stessa del suo mito, della sua leggenda. Da quando è stata dichiarata sacra, la nostra privacy è stata violata per nostra stessa scelta attraverso le spontanee iscrizioni sui social, gli acquisti online, l’appartenenza a questa o quella compagnia telefonica: la nostra vita, i nostri gusti, le preferenze, le abitudini, le frequentazioni, appartengono a tutti e siamo noi a offrirle al pubblico. Esibiamo il nostro abbigliamento, i nostri piatti, i nostri vini, le nostre case, le nostre auto, le fidanzate, le ex fidanzate… Tutto, con dovizia di immagini e particolari.
In questo bordello alla luce del sole proliferano prostitute acclarate, bestemmiatori, urlatori, volgarità, nudità, riferimenti espliciti al sesso online, odio, insulti, checche esibizioniste invise dagli stessi gay civili e riservati, comici da due lire… Il peggio del peggio insieme a chi ne fa un uso più professionale, più di contenuti. E’ un mondo in cui la reputazione si misura a follower e per uno che ne conta moltissimi grazie alla sua cultura e ai suoi modi, ve ne sono milioni che spopolano grazie al livello più infimo di esposizione, che va dal corpo alla trivialità.
I padroni dei bar (Telegram, Instagram, Facebook, TikTok, X in particolare) non servono ai tavoli e non lavano i bicchieri dietro al bancone: si godono gli incassi, il locale lo gestiscono gli utenti.
Dunque, arrestato Durov devono essere arrestati tutti, nessuno escluso, sempre che l’accusa sia solo quella del mancato controllo (non gliene sarebbe stata formalizzata alcuna, al momento, a parte quella di complicità).
Qui inizia la seconda riflessione. I capi di accusa nei confronti di Durov sono 12, uno più grave dell’altro: basti pensare ai primi 3 che sono la pedopornografia, la violazione delle norme sugli stupefacenti, il riciclaggio. Senza dimenticare il terrorismo e il traffico di armi. Tutte attività che avrebbero utilizzato l’app che il signor Pavel, russo con cittadinanza francese e (un) domicilio a Dubai, creò con il fratello Nicolaj nel 2013. Pavlov ha lasciato il bar aperto 24 ore su 24 e, insieme a quelli come me che usano Telegram per chat di lavoro (allo scopo di uscire dal ginepraio Whatsapp dove tra vocali, gruppi e chat non ci capivo più niente), lo frequentano ceffi di cui sopra – stando appunto all’accusa di complicità mossa ora a Durov – senza nessun limite e nessun controllo. In sale riservate.
Penso che fino a qui abbiamo un pensiero che ci accomuna tutti: ben venga lo spettacolo dell’arresto di uno come Durov, se potrà servire a un controllo più severo sui contenuti e sul linguaggio dei social, tutti i social, ma soprattutto sulle attività illegali che vi albergano e proliferano.
La terza via è un po’ più complessa da decriptare, tanto per rimanere in tema. Il signor Pavel Durov è un russo con passaporto europeo che bazzica Dubai e di recente avrebbe dovuto incontrare Putin… Il quale si è premurato di smentire, salvo poi Mosca accusare apertamente l’America: “E’ Washington la vera causa dell’arresto di Durov”, ha affermato il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, sul suo canale Telegram. “Telegram e’ una delle poche e, allo stesso tempo, una delle più grandi piattaforme Internet al di fuori dell’influenza degli Stati Uniti”, ha fatto notare Volodin. Non solo la Russia sta seguendo la vicenda giudiziaria di Durov tramite l’ambasciata di Parigi, ma anche gli Emirati Arabi Uniiti hanno chiesto accesso a Pavel Durov che è pure cittadino del Golfo. “Stiamo monitorando il caso”, ha fatto sapere il ministero deli Esteri.
Diventa quindi un intrigo internazionale, in cui (come in ogni grande sceneggiatura) non mancano il giallo e il rosa. Il giallo: perché, pur sapendo che in Francia gravava su di lui un mandato di arresto, Pavel Durov ha scelto di atterrare col suo jet privato, il 24 agosto, all’aeroporto parigino di Le Bourget, di fatto consegnandosi alle autorità? E, soprattutto, chi è Yulia Vavilova, la bellissima ragazza di 24 anni che viaggiava con lui? Scrive il sito del “TgLA7”: “Non sarebbe stata fermata, ma non ha più lasciato tracce. Ad esempio non ha più postato sui social, dove era molto attiva fino a 3 giorni fa. Si definisce ‘crypto coach’, una sorta di esperta in cripto valute e ha migliaia di follower. Negli ultimi giorni aveva pubblicato foto e video che lasciano pensare che fosse in viaggio con il magnate di Telegram. Sono gli stessi luoghi postati da Durov in Azerbaijan, compreso il medesimo hotel di Baku”.
Siamo solo alla prima puntata. Presto sapremo se si tratta di una serie, di un docufilm, di una sceneggiata, di una farsa teatrale. Dovesse servire a stringere un po’ i rubinetti, ben venga, ma il sospetto che ci sia molto altro rende comunque avvincente, anche un po’ inquietante, il prosieguo della storia.