CAMPIONI DI STUPRO

Molte cose abbondano nella vita di un calciatore professionista. Le prime in graduatoria sono i soldi e le donne. Anche uno che tira calci al pallone nelle serie minori, può arrivare a percepire uno stipendio superiore alla media. In più sono giovani e atleti, lo stereotipo che più di ogni altro affascina e qualche volta ammalia una bella fetta dell’altro sesso, specie quella che frequenta i locali notturni dove alcol e droghe di varia natura possono offuscare le idee e indurre ad abbassare la guardia, qualche volta assunti non del tutto volontariamente.

Eppure uno sguardo, un sorriso, l’offerta di un drink (un ballo non è più di moda), sono perdite di tempo cui qualcuno rinuncia per andare subito al sodo, con le buone o con la forza che ai giovani ricchi atleti non manca di sicuro, insieme con la loro prosopopea per cui tutto è facile, tutto è dovuto, tutto è scontato soprattutto con le donne.

L’ultimo in ordine di tempo è Dani Alves, ex terzino (tra le altre) di Barcellona, Juve e Paris St. Germain, 128 partite con la Nazionale brasiliana. Nega i fatti, ma i video delle telecamere di sicurezza lo smentirebbero: ha raccontato alla Polizia spagnola di essere stato abbordato dalla 23enne che lo ha accusato di stupro, consumato nei bagni di una discoteca di Barcellona. In realtà il racconto della ragazza, alla quale Dani Alves avrebbe afferrato la mano per premerla con forza nelle sue parti intime e che sarebbe stata costretta a un rapporto sessuale, nonostante gli schiaffi, il diniego e i vani tentativi di liberarsi, è parso verosimile tanto che l’ex giocatore è stato rinchiuso in isolamento, senza cellulare e adesso rischia dai 6 ai 12 anni in un Paese dove la violenza sulle donne è considerata particolarmente grave, anche per gesti assai meno cruenti di quello di cui parliamo.

Il caso non è isolato: già soltanto gli altri due più recenti, riguardano altre due vecchie conoscenze italiane. Il primo è Robinho, altro brasiliano già al Manchester City, Milan e Santos, 100 presenze nella Nazionale verdeoro. Condannato nel nostro Paese a 9 anni di carcere per violenza di gruppo, i fatti si riferiscono al 2013, è ancora a piede libero dalle sue parti perché a novembre è stata negata l’estradizione. Lui e il suo amico Ricardo Falco, 10 anni fa, avevano fatto ubriacare una 23enne di origine albanese per poi approfittarne nel guardaroba di un locale milanese. Uno alla volta, a turno, una mezza dozzina di galantuomini, alcuni dei quali mai rintracciati.

Sempre di violenza sessuale di gruppo è accusato Mattia Lucarelli, figlio del celebre Cristiano ex centravanti di serie A con le maglie (tra le altre) di Atalanta, Torino, Parma e ora allenatore. Mattia gioca nel Follonica in serie D, ma sembrerebbe avere il vizietto dei suoi colleghi più affermati: lui e un suo coetaneo 23enne, Federico Apolloni suo compagno di squadra, insieme con altri tre indagati, sono stati riconosciuti da una giovane studentessa americana (la quale ha anche aggiunto che Mattia “guardava e rideva, poi mi ha accompagnato a casa dicendomi che era stato bellissimo e avremmo dovuto rifarlo”) stuprata dal branco dopo essere stata agganciata in un locale milanese.

Perché violentare ragazze quando hai la possibilità di averne facilmente quante ne vuoi? Quale molla scatta per esercitare la propria forza, per ricorrere alla violenza al fine di ottenere il corpo – e non il resto – della preda, sfamare un appetito malsano quando vivi la tua vita quotidiana in mezzo a tavoli imbanditi di quel cibo? Materia da psicanalisti, infine da giudici e avvocati. La sindrome dell’abuso, com’è noto, non è certo prerogativa dei soli calciatori e infatti ripugna un po’ più intensamente se coinvolge star dello sport, dello spettacolo, anche della politica e della cultura dove, ancora secondo retorica e stereotipi di varia natura che sono comunque la realtà acclarata per come vanno le cose, l’abbordaggio, la conquista, il sesso dovrebbero risultare agevolati dal proprio status. Certe donne sono sensibili a quella roba lì, soldi bellezza fama mondanità… Perché non usarle, preferendo il sopruso, il crimine?

Il crimine. E’ una jungla in cui addentrarsi con grande cautela, specie se di natura sessuale: qualche volta è capitato che una ragazza si fosse inventata tutto per soldi (ma la vittima di Dani Alves li avrebbe rifiutati, preferendo la denuncia), ma non paiono questi i casi e comunque la statistica tra menzogne e fatti accertati è molto significativa. In Europa le finzioni femminili non superano il 7%, contrariamente agli Stati Uniti dove si sfonda la soglia del 20% grazie a studi legali molto avidi e poco etici, che costruiscono cause su impianti fasulli. Qualche giudice ci casca.

In questo genere di efferatezze disgusta l’estrazione dei protagonisti, molto più di quando accadono in un sottobosco miserabile, ma stupisce ancora una volta l’omertà che sovente li circonda. Al di là delle storie di Dani Alves, Robinho e Lucarelli, è spesso il silenzio, la paura a diventare la vera protagonista. Delle donne abusate, ma anche e soprattutto dei complici.

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