Mentre le cose più importanti tra quelle meno importanti pensano a come riorganizzare la loro permanenza in vita (spettacolo, arte, cultura, sport, che davanti alla semplice normalità quotidiana appaiono adesso futili surrogati, facoltativi accessori), noi viviamo tra inquietudine e paura.
Il calcio sembrava averci ridato un po’ di speranza: ricominciato per primo già a maggio il campionato tedesco, seguito a ruota da tutti gli altri eccetto quello francese che ha stoppato tutto così com’era, sembrava che l’ipotesi di ripartenza potesse presto valere per tutto il resto. Per una volta, la cosa più importante tra le cose meno importanti costituiva un enorme sollievo generale. Si è parlato e si parla anche di riapertura graduale degli stadi.
Il numero di contagi (e ricoveri, e ancora morti…) di questi ultimi giorni ci sta rigettando nello sconforto, la paura spinge via a spallate l’inquietudine e resta da sola. Ma quale riapertura degli stadi? Qui si rischia di tornare a chiudere spogliatoi, centri sportivi, tribune e campionati. Focolaio al Genoa, poi altri casi a macchia tra Torino, Milan, Atalanta, Salernitana, Napoli, Juventus, ora l’Inter…
Chi ne ha più, chi ne ha meno, i positivi crescono comunque senza fare distinzioni tra serie A, B e più in basso ancora. Le ASL si sono messe di mezzo tra i protocolli della Lega e le regole che si erano dati i club, così è scoppiato il caso Juventus-Napoli, che come grave precedente ora rischia di cancellare lo svolgimento del derby di Milano (in programma il 17 ottobre) e a macchia altre partite, dopo che già è stata rinviata Genoa-Torino 2 settimane fa. Non se ne esce, anzi sembra di essere sempre più schiacciati.
Spazzato via dalle paure, legittime ma un po’ egoiste, di De Laurentiis, il protocollo del calcio professionistico italiano di fatto non esiste più, sconfessato dai timori di un presidente, ed è tornato tutto in mano al Governo, passando appunto per l’ASL. Quell’accordo per cui “in presenza di 13 tesserati sani” una squadra doveva presentarsi e giocare sta mestamente avviandosi all’archivio.
La situazione è seria, non è questione di allarmismo, ma di numeri oggettivi: di regolare c’era e c’è già comunque poco, dopo un mercato condizionato pesantemente dai deficit derivanti da sponsorizzazioni, diritti televisivi e incassi ridotti o azzerati e da regole che variano tra paese e paese; tra contagi che crescono di nazione in nazione e provvedimenti diversi che rimbalzano (o sono immobili) tra governi e continenti.
Per restare a casa nostra, si respira aria di nuova ibernazione dei calendari. Bisogna farsene una ragione. Per certi versi, per quanto avviliti, non possiamo stupirci: su questo pianeta l’unico che sta rispettando le sue regole alla lettera è il virus, che sarà – ripeto e ripetono – anche meno letale, ma di sicuro è ben lontano dall’essere annientato. Per il resto ognuno fa per conto suo, fino al momento in cui non verremo di nuovo costretti tutti insieme a fare la stessa cosa. Quel momento purtroppo sta arrivando, è già dietro l’angolo. E il timore è che non riguarderà solo il pallone.
Certo se i calciatori tipo Theo fanno festini di compleanno e naturalmente postano x farlo sapere , il calcio rischia di chiudere ..non ce la fanno nemmeno x qualche settimana ad esser persone responsabili