Matteo Dall’Osso, ecco a chi. Il tormento l’avevo perché il tema era proprio il tormentato, la figura del tormentato, e Matteo Dall’Osso mi pare ne impersoni la quintessenza.
Un irrequieto, un tormentato vero, più di Rimbaud, più di Wittgenstein. Se vogliamo restare sul versante più popolare, più di Luigi Tenco, più di Jim Morrison e di Kurt Cobain. Uno che s’addormenta ma ancor prima di addormentarsi ha cambiato posizione e forse giaciglio, un po’ di qui e un po’ di là e un po’ in mezzo. Un po’ a pancia in giù e un po’ a pancia in su.
Lui però ha capito tutto, ha capito che il tormento va assecondato, se è nella tua natura non c’è via di fuga, sarà lui a scovarti e a importi il trasloco.
Non è l’unico, venendo al sodo, anzi, la percentuale dei cambia casacca in Parlamento è ben nutrita, per un motivo o per l’altro si sfiora il venti per cento, ma lui regge il vessillo, suo malgrado. Lui è tormentato vero, si fluttua pare essere il suo motto di vita. Esistenziale mi verrebbe, se non lo sminuisse, incasellandolo in una logora categoria novecentesca.
Cinquestelle, poi Forza Italia, poi Coraggio Italia e poi ancora Forza Italia. Stavo per scrivere infine ancora Forza Italia, ma con anime possedute da tale romantica passione, come si può osare una formula definitiva, mai dire mai e mai dire infine.
Poi si potrebbe obiettare che un tormentato vero potrebbe pure avventurarsi fuori dalle mura ben remunerate e provare con la zappa, otto ore di zappa il tormento lo levano, mi assicurano, e se ti addormenti voltato da una parte, voltato dalla stessa parte ti risvegli. Si potrebbe obiettare, certo.
Ma che si vuol fare, alla passione civile non si può sfuggire, quando uno ha deciso di servire il Paese.
Costi quel che costi. A noi.