CALCIO E BAMBINI: LIBERIAMOLI DAI LORO GENITORI

L’esperienza personale mi ha convinto da mezzo secolo: i genitori non devono assistere alle partite di calcio dei figli o delle figlie, almeno sino a quando i pargoli non compiano 14-15 e siano quindi in grado di ribattere in prima persona alle urla sguaiate in tribuna o ai rimbrotti tecnico-tattici a casa, dopo la partita. Perché questo succede agli adolescenti che rincorrono la palla: chi li ha messi al mondo è sugli spalti a fare un tifo da stadio di serie A, insulta l’arbitro e gli avversari, qualche volta persino l’allenatore della stessa squadra in cui gioca il pargolo se non sono d’accordo su scelte, posizioni, atteggiamento. Per non parlare del linguaggio.

Accennavo all’esperienza personale. La prima, la più dolorosa, fu che dopo 2-3 partite non andai mai più a veder giocare mio nipote (all’epoca avrà avuto 7-8 anni) perché sua madre mi faceva sprofondare di vergogna per quello che diceva e per come lo diceva. La seconda, professionale, è che tutti i tecnici, dirigenti e responsabli dei settori giovanili mi hanno sempre detto quanti e quali problemi creino loro mamme e papà, tutti convinti di avere in famiglia un Messi in fasce, tutti esperti di fuorigioco e diagonali, di moduli e di sistemi. Nella sua prima avventura al Real Madrid, quando andai a trovarlo al centro sportivo di Valdebebas, Carlo Ancelotti mi indicò i campi di calcio sistemati dal più basso al più alto dopo la salita che parte dal cancello di ingresso: lassù si allena la prima squadra. “Sono stati costruiti apposta così”, mi disse Carlo, “perché gli adolescenti per sognare la prima squadra debbano guardare in alto”. Mi rivelò che in Spagna, nei campionati giovanili tra le squadre professionstiche, le partite si giocano tutte indistintamente a porte chiuse sino ai 12 anni, in modo che non ci siano parenti o amici o tanto meno… genitori ad assistervi.

La Società Sportiva Enotria, storico sodalizio milanese con le radici a nordest della città tra Crescenzago e il Lambro, è andata persino oltre il Real per affrontare il problema. Tanto per cominciare, agli allenamenti i ragazzi vengono lasciati dagli accompagnatori all’ingresso del centro (che non può mai essere superato per nessun motivo) e a quel cancelletto torneranno a prenderli dopo qualche ora. Soprattutto, il club milanese fondato nello stesso anno dell’Inter, 1909, colori sociali rosso e blu, mette a disposizione di padri e madri una psicologa. Già, una psicologa con la quale ci si può incontrare la sera con tanto di sportello di aiuto per spiegarsi, capire, confrontarsi, educare il rapporto tra genitori tecnici e figli apprendisti calciatori. In quelle occasioni c’è modo di parlare anche di problemi diversi legati al mondo adolescenziale, come il bullismo, la tolleranza, l’aggregazione.

Ad evitandum, se i ragazzini gradiscono la doccia dopo gli allenamenti o le partite, devono provvedere da soli o al massimo in presenza dell’allenatore, per non turbare quei genitori pudici che non amino il proprio pargoletto nudo i  mezzo ad altri coetanei pure nudi. Ci sono anche questi orpelli mentali da affrontare. “Del resto”, scrive il Corriere della Sera, “come emerso nell’intervento della psicologa Lucia Chiarioni nel primo appuntamento la scorsa settimana, le benedette mamme e i benedetti papà, con incursioni dei nonni, debbono prendere atto di quanto non siano per niente i protagonisti, i quali invece sono e rimangono bambini e ragazzi che vanno protetti e tutelati, per tacita o non tacita accettazione dei grandi che debbono starsene ai confini. Guardare. Punto. Buonanotte”.

Prima i bambini, insomma. Anzi, solo i bambini, grazie. Come quelli assai più maturi degli adulti, che hanno fatto scudo intorno al proprio compagno di squadra durante un derby provinciale under 17 tra Gallarate e Cas Sacconago Busto Arsizio. Riferisce “La Prealpina” che uno degli avversari della squadra di casa sarebbe stato più volte chiamato “negretto” dall’allenatore avversario. Il ragazzo si è offeso e dopo un po’ sono scoppiate un paio di mini risse, fino a quando l’arbitro ha deciso di espellere l’allenatore responsabile. I compagni, solidali con il 16enne di origine marocchina, hanno poi abbandonato il campo di gioco, quando mancavano ormai pochi minuti al fischio finale (il Gallarate era in vantaggio 3-1).

Prima i bambini. Anzi, solo i bambini. Per favore.

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