CACCIA AL GENIO CHE HA DECISO GLI ORARI DELLE PARTITE

di LUCA SERAFINI – Abbiamo fatto fatica a capire e adesso facciamo tutti un po’ fatica a starci dietro, ma una premessa è importante: il governo del nostro calcio (per una volta siamo in buona compagnia, perché la Francia ha fatto di peggio) è talmente feudale e pasticcione, che quando una soluzione riesce a trovarla accontentando i più, è bene che i meno si rassegnino e accettino perché – come diceva mia nonna – l’alternativa sarebbe stata senz’altro peggiore. E allora…
Allora. Ripartire col calcio era importante, non solo per libidini personali o come oppio dei popoli, ma per rimettere in moto quella che è comunque (e resta) una delle prime aziende italiane. E sempre perché il calcio non sono solo Ronaldo, Lukaku e Ibrahimovic, ma anche serie B, Lega Pro, dilettanti, impiegati, addetti, giardinieri, commerciali, televisioni e (con permesso) giornali e giornalisti. Gente che ci mangia, col pallone.

Detto questo, lo spezzatino delle partite spalmate dal venerdì al lunedì – prima della quarantena – è diventata un’insalata di riso, scotto e bello compatto, così zeppo di ingredienti da risultare un po’ indigesto e alla fine bisogna fare a meno di qualche portata. Come per digiunare e rifiatare.
Bisognava fare alla svelta per chiudere il campionato in 40 giorni, restavano 12 turni più recuperi ed era necessario infilare tutte le partite nell’imbuto. Ciò non toglie che la partita alle 17.15 col caldo a giugno, luglio e 2 giorni di agosto era una follia prima e una follia è rimasta, specie di domenica quando la gente va al mare. Quella delle 21.45 nelle sere feriali, poi, è davvero cervellotica visto che la mattina del giorno dopo la gente si alza per andare al lavoro.
Pensate che sia un vantaggio per i diritti tv? No, affatto: il prodotto è depauperato e Sky di sicuro ci rimette, per non parlare di DAZN sul cui significato di esistere ancora dobbiamo capire bene, visto il turnover di cronisti di varie parrocchie e la povertà generale del contorno.
Gli interessi della gente, poi, non ne parliamo nemmeno: fregano a nessuno. Per stare appresso a giorni e orari bisogna disporre di un’agenda elettronica dedicata: era così difficile designare 2 o 3 partite alle 19 e 2 o 3 partite alle 21?
Sempre parlando di gente, di tifosi: hanno riaperto tutti, tranne gli stadi che sarebbero i più semplici da gestire, almeno per restituire il maltolto agli abbonati e ridare un senso a uno spettacolo ibrido. Concedere di riempire il 25/30% della capienza significa mandare 6000 persone in una struttura che ne conterrebbe 20.000, in cui gli unici momenti critici sono afflusso e deflusso, ma ormai i tornelli sono ovunque e se c’è una cosa che gli italiani hanno imparato nel lockdown, è fare le code.
Dentro alla stadio si possono smistare le persone su un solo anello e farle stare a distanza di uno sgabello. Punto. Finito. Gli steward fanno rispettare le regole, chi le infrange va fuori.
Troppo pericoloso? Non credo. Non più di quello che accade in campo, durante e a fine partita, momenti e situazioni in cui distanze e protocolli si infrangono tra scontri, baci, abbracci e scambi di magliette. Com’è (stranamente) logico o fisiologico che sia.

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