BERGAMO CAPITALE DELLA CULTURA. E DEI SOMARI.

Bergamo è città meravigliosa: ricca di storia e di bellezze paesaggistiche. A buon diritto, insieme all’amata-odiata cugina, Brescia, sarà capitale della cultura nell’anno 2023. Naturalmente, per giungere preparati a questa importantissima scadenza, ci si deve attrezzare: già una volta, Bergamo si è fatta battere da Matera per un banale equivoco nella compilazione del progetto concorrente, che sembrava più un encomio solenne alla città che, appunto, un piano progettuale.

Attrezzarsi, dicevo, nelle piccole come nelle grandi cose: nei pomposi convegni di presentazione, nei felpati salotti dei maggiorenti, ma anche nelle strade e nelle piazze, che sono sotto gli occhi della gente.

Siccome tra le glorie locali c’è, senza dubbio, Bartolomeo Colleoni, la cui sfarzosa cappella si appoggia elegantemente alla basilica romanica di Santa Maria Maggiore e che ha disseminato di castelli la bassa bergamasca. Inevitabilmente, si deve far riferimento al gran capitano, se si vuole raccontare la storia cittadina.

E’ cosa buona e giusta, ma va fatta con un minimo di oculatezza: non si possono affidare le informazioni storiche sulla città al primo che passa. Invece, si direbbe che, a Bergamo, il criterio sia proprio questo. Perlomeno nel caso di un bel cartello bilingue, appeso al muro di un antico palazzo del centro, che spiega al turista, in una quarantina di righe, la storia bergamasca, dai Celti ai giorni nostri. In quelle quaranta righe, l’oscuro estensore è riuscito a infilare un paio di sfondoni di una cospicua rilevanza.

Qualche cittadino benemerito ha anche segnalato a chi di dovere il rischio che, tra i lettori del cartello incriminato, potesse esserci qualcuno più avvertito della media in materia, tanto da riconoscere le sesquipedali boiate trasmesse al viandante: ma, come si dice, chi di dovere fece “fin de non recevoir”. Tanto che il cartello è ancora lì, e temo ci sarà anche quando Bergamo verrà visitata da un sacco di gente, nella sua condizione di capitale culturale: il che produrrà una discreta figura da fessi.

Perché nel cartello incriminato si legge, testualmente, che i Visconti, signori di Milano, nonché di Bergamo, entrarono in guerra con Venezia, nel 1428, e che l’esercito veneziano era guidato, appunto dal nostro Colleoni. I Visconti persero, Bergamo passò alla Serenissima e ci rimase, fino a Campoformio. Peccato che, nel 1428, il Nostro, che aveva 33 anni, stesse combattendo per le armi del Papa Martino V, sotto il comando di Jacopo Caldora. Poi, nel 1431, passò a servire nell’esercito veneziano, alla cui testa stava il Carmagnola, cui come è noto, l’anno successivo, venne mozzato il capo dopo il fallito assedio di Cremona. E proprio il Carmagnola, non il Colleoni, che stava ancora facendo carriera e militava, come vi ho detto, altrove, gettò Bergamo nelle braccia di Venezia, con la vittoria di Maclodio (12 ottobre 1427) e la successiva pace di Ferrara (18 aprile 1428).

Insomma, il Colleoni con il passaggio di Bergamo alla Serenissima non c’entra niente. E l’estensore del cartello avrebbe ben dovuto saperlo, trattandosi di un episodio cardine della storia locale. Ecco, era solo per farvi capire che, dietro la pompa magna di certi fenomeni culturali e politici, qualche volta si annida la crassa ignoranza. E questo significa perdere credibilità, turisti e, in definitiva, anche palanche. Eppure, a volte, basterebbe così poco…

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