Dunque, che si fa? Logica vorrebbe che, in un paese tanto anglofono nella forma, esistesse anche un’anglofonia sostanziale: ovvero che gli Italiani fossero la punta di diamante tra i popoli europei, nell’uso della lingua inglese. Invece no: nonostante tutte le “mission” e tutti gli “webinar”, tra “tutoring”, “debate” e “peer to peer”, la nostra scuola sforna ogni anno studenti che interpretano l’uso della lingua inglese, più o meno, come Jerry Calà, in un celebre film: nano, nen; mano, men; aliscafo, alishuffle. Il che sta a dimostrare che questo uso smodato di anglicismi d’accatto servirà anche a far bella figura, ma non produce cultura. Inquina senza produrre energia, per così dire.
Ben verrebbe, perciò, un’iniziativa del governo a tutela delle nostre peculiarità linguistiche, magari individuando qualche strumento che permettesse di mantenere vivo l’italiano, imparando ad esprimersi in un inglese verosimile. E cosa ti escogita Rampelli, il vicepresidente della Camera, colonna di FdI? Una bella multa, anzi: una multona di centomila euro per chi si azzardi a usare termini stranieri in una comunicazione pubblica. Porca l’oca, ma è geniale: troneremo a chiamare il cachemir “casimiro” e l’autobus “torpedone”!
Naturalmente, con questa trovata ridicola, non ci sarà alcun miglioramento nell’uso dell’italiano da parte della gente, mentre quello della lingua inglese si manterrà tale e quale, ovvero prossimo allo zero. Perché, pur comprendendo come per i politici sia difficile metabolizzare il concetto di cultura, la questione non è regolamentare, ma culturale: se non si investe in cultura – cultura vera, intendo: mica quella degli Stati Generali romani – mettere una taglia sulle esterofilie è un’operazione di bassa macelleria, una bella intonacata alla facciata, mentre, all’interno, i mobili marciscono.
Ci vuole impegno nella difesa della lingua: bisogna aiutare gli scrittori, gli studiosi, gli insegnanti a fare bene il proprio mestiere. Non foraggiare sempre e solo i soliti manutengoli, con i loro slogan biascicati, che sono peggio di qualsiasi inglesismo.
Insomma, Rampelli, se volete davvero affrontare il problema dell’anglofilia, evitate queste sparacchiate roboanti: le multe, le sanzioni, gli anatemi. Rimboccatevi le maniche e, per una volta, andate a vedere cosa succede veramente nelle scuole: che razza di buffonata sono i CLIL, quale sia la reale conoscenza della nostra lingua e della nostra identità tra i giovani che, domani, dovranno mantenerle vive. Perché chi usa di più questa terminologia ridicola, che fa il verso all’inglese senza esserlo, sono proprio i vostri consulenti, i vostri dirigenti, i boiardi che vi girano intorno: forse, è il momento di cambiare costume. Se volete, come andate dicendo, cambiare l’Italia. E non basta il vostro ossimorico Ministero del Made in Italy…