BASTASSE LA TAGLIA DA 100MILA EURO SULLE PAROLE INGLESI

Dal 2000 a oggi, le parole inglesi che sono entrate a far parte della lingua italiana scritta sono aumentate del 773%: mica male, porca miseria! Più di una parola su cento, nei dizionari della lingua italiana, è, in realtà, inglese. Questo sembrerebbe far di noi una sorta di colonia linguistica britannica ed è, indubbiamente, un dato, per certi versi, allarmante. D’altronde, chi scrive denuncia da decenni l’imbarazzante esterofilia di certi linguaggi scolatici, burocratici, politici. Le lingue, si sa, vivono una vita propria: crescono, si contraggono, mutano, riciclano: se confrontiamo l’italiano di Dante, quello del Bembo, quello dei benparlanti manzoniani e l’italiese dei nostri studenti, non possiamo non rilevare delle significative variazioni. D’altra parte, se non si possono arginare le varianti linguistiche, nemmeno si può far finta di niente: tra un po’ di tempo, per un lettore medio, la Divina Commedia sarà un’opera in lingua straniera.

Dunque, che si fa? Logica vorrebbe che, in un paese tanto anglofono nella forma, esistesse anche un’anglofonia sostanziale: ovvero che gli Italiani fossero la punta di diamante tra i popoli europei, nell’uso della lingua inglese. Invece no: nonostante tutte le “mission” e tutti gli “webinar”, tra “tutoring”, “debate” e “peer to peer”, la nostra scuola sforna ogni anno studenti che interpretano l’uso della lingua inglese, più o meno, come Jerry Calà, in un celebre film: nano, nen; mano, men; aliscafo, alishuffle. Il che sta a dimostrare che questo uso smodato di anglicismi d’accatto servirà anche a far bella figura, ma non produce cultura. Inquina senza produrre energia, per così dire.

Ben verrebbe, perciò, un’iniziativa del governo a tutela delle nostre peculiarità linguistiche, magari individuando qualche strumento che permettesse di mantenere vivo l’italiano, imparando ad esprimersi in un inglese verosimile. E cosa ti escogita Rampelli, il vicepresidente della Camera, colonna di FdI? Una bella multa, anzi: una multona di centomila euro per chi si azzardi a usare termini stranieri in una comunicazione pubblica. Porca l’oca, ma è geniale: troneremo a chiamare il cachemir “casimiro” e l’autobus “torpedone”!

Naturalmente, con questa trovata ridicola, non ci sarà alcun miglioramento nell’uso dell’italiano da parte della gente, mentre quello della lingua inglese si manterrà tale e quale, ovvero prossimo allo zero. Perché, pur comprendendo come per i politici sia difficile metabolizzare il concetto di cultura, la questione non è regolamentare, ma culturale: se non si investe in cultura – cultura vera, intendo: mica quella degli Stati Generali romani – mettere una taglia sulle esterofilie è un’operazione di bassa macelleria, una bella intonacata alla facciata, mentre, all’interno, i mobili marciscono.

Ci vuole impegno nella difesa della lingua: bisogna aiutare gli scrittori, gli studiosi, gli insegnanti a fare bene il proprio mestiere. Non foraggiare sempre e solo i soliti manutengoli, con i loro slogan biascicati, che sono peggio di qualsiasi inglesismo.

Insomma, Rampelli, se volete davvero affrontare il problema dell’anglofilia, evitate queste sparacchiate roboanti: le multe, le sanzioni, gli anatemi. Rimboccatevi le maniche e, per una volta, andate a vedere cosa succede veramente nelle scuole: che razza di buffonata sono i CLIL, quale sia la reale conoscenza della nostra lingua e della nostra identità tra i giovani che, domani, dovranno mantenerle vive. Perché chi usa di più questa terminologia ridicola, che fa il verso all’inglese senza esserlo, sono proprio i vostri consulenti, i vostri dirigenti, i boiardi che vi girano intorno: forse, è il momento di cambiare costume. Se volete, come andate dicendo, cambiare l’Italia. E non basta il vostro ossimorico Ministero del Made in Italy…

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