La Sanità italiana degli ultimi trent’anni ha tutti requisiti della predestinazione. A ogni bivio possibile ha preso la via più impervia, quella che nelle intenzioni forse avrebbe potuto migliorarla, ma che nel dato di fatto ne ha peggiorato la qualità e soprattutto ha costantemente messo in discussione la possibilità degli italiani di avere diagnosi, di curarsi e magari guarire.
Nulla a che vedere con il livello dei dottori e dei professionisti del settore, stimati gli ultimi e riconosciuto in tutto il mondo il primo, ma sta di fatto che l’accesso, la cura e in conseguenza la salute degli italiani sono diventati maledettamente complicati, al punto che in caso di necessità – e nemmeno parlo di necessità grave o urgente -, la prima opzione, la più lineare e sensata non c’è. La prima opzione è chiedere all’amico, alla sorella infermiera, al fratello dell’amico, all’amico medico. La prima opzione è provare ad aggirare il sistema, consapevoli che seguire il tracciato ufficiale comporta liste d’attesa infinite, burocrazia non compiacente e nei casi più gravi le esequie premature. Così è.
Salto a piedi pari tutta la tirata sulla spinta verso la privatizzazione che ognuno ha sotto gli occhi da tempo e vengo invece al decreto del 26 novembre, con il quale l’attuale governo cercava di porre un freno almeno tariffario alla deriva in corso, una volta resosi un minimo consapevole che le procedure vigenti proprio non raccoglievano grandi consensi e di fatto più defezioni che prese in cura.
Si trattava di calmierare le tariffe del Servizio Sanitario Nazionale e le tariffe del “privato accreditato”, sostenute con i fondi del Servizio Nazionale stesso. Non cosa da poco, visto che si parlava di più di un terzo delle prestazioni di specialistica ambulatoriale, ma ovviamente, trattandosi della sanità italiana, le cose non potevano filare lisce. Sollevazione generale, TAR del Lazio sugli scudi non appena sollecitato, come tradizione vuole, e i sistemi privati che contestano tutto e il contrario di tutto.
Caos annunciato dunque: le prenotazioni in atto messe in attesa, i medici di base e tutto il mondo intorno che non sanno bene cosa e come fare e nemmeno sanno quale software usare , visto che a sua volta quello nuovo è stato bloccato. Risultato, continuiamo a non fare esami, a non avere diagnosi, a non curarci, a stare male e anche a morire ogni tanto. È un Paese così il nostro, non si nasce più, ma in compenso si muore prima del previsto.
Un pensierino finale però lo merita la lungimiranza di chi ci governa e ci ha governato, oggi, ieri e l’altro ieri, da destra e da sinistra. Gli intoppi e l’oggettivo garbuglio dei giorni nostri non sono che l’effetto di una cronica incapacità e di una cronica mancanza di volontà di voler mettere in piedi e consolidare una sanità efficiente e dignitosa, figlia legittima dell’articolo 32 della Costituzione, quello che ci assicura che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Una classe dirigente degna di questa Costituzione non può non immaginare una Sanità diversa, non può non avere un’idea nobile e rassicurante per i propri concittadini, non può anche solo non immaginare che basti un TAR qualsiasi per mettere a nudo la pochezza dei propri intenti.
Il nuovo anno inizia esattamente come è terminato quello vecchio. Salute e prosperità per tutti.