BASTA GUERRA ALLA CARNE, C’E’ ALLEVAMENTO E ALLEVAMENTO

Gli allevamenti zootecnici sono da tempo al centro di un acceso dibattito, in quanto considerati insostenibili da un punto di vista ambientale, responsabili di pessime condizioni di vita degli animali, uso improprio di farmaci e chi più ne ha più ne metta.

Un recente report del WWF dal titolo “Toccare con mano la crisi ecologica”, indica la necessità di ripensare i sistemi produttivi e di consumo, rendere sostenibili gli allevamenti, ridurre il consumo di carne e lavorare per ripristinare e mantenere gli habitat naturali, così da evitare, anche in Italia, il rischio dell’insorgere di patologie che dipendono da una non corretta gestione della fauna selvatica e dalla distruzione degli habitat naturali. Come sta accadendo con la Peste suina africana e con l’Aviaria.

Recentemente una campagna di informazione, spesso aggressiva, è responsabile di una sommaria mistificazione che non distingue tra i vari sistemi di allevamento.

Tra i diversi modi di condurre un’attività zootecnica ci piace distinguere tra allevamenti in stalla e allevamenti al pascolo.

I primi concentrano un significativo numero di animali in spazi ridotti e sono fondati sull’assimilazione della filiera zootecnica a quella industriale e, a volte, nonostante alcune forme di mitigazione imposte dalle norme nazionali ed europee, le condizioni in cui vivono, ma sarebbe meglio dire “sopravvivono”, gli animali rinchiusi in questi stabilimenti sono deprecabili.

L’allevamento al pascolo prevede invece l’assoluta libertà degli animali allevati, che svolgono tutte le funzioni vitali all’aria aperta, in terreni definiti marginali, ovvero sostanzialmente inadatti all’attività agricola ad elevato reddito.

Il dibattito sui pro e contro delle due tipologie di allevamento è molto acceso e c’è addirittura chi lancia i propri strali su entrambi, auspicando un mondo esclusivamente vegetariano o vegano.

Pensiero supportato anche in sede UE, i cui nuovi bandi per il 2022 incoraggiano i consumatori a passare a diete vegetali, riducendo i consumi di carne. Criteri che secondo Coldiretti e Filiera Italia rischiano però di “tagliare i fondi per la promozione di vino e carne, prosciutti e birra, affossando il Made in Italy”.

Politiche che rischiano di colpire prodotti dalle tradizioni secolari, che provocheranno un impatto devastante sulla biodiversità del territorio, danneggiando molti prodotti tipici e soprattutto tantissime famiglie impegnate a combattere, spesso da intere generazioni.

Occorre evidenziare che, al netto di ogni preferenza di stile alimentare o di filosofie di vita, la presenza di animali e allevatori appare quantomai necessaria per preservare il territorio da minacce di origine naturale, antropica (leggasi incendi) e per cercare di ridurre l’inarrestabile erosione demografica che si registra soprattutto nelle aree interne del nostro Paese.

Il tema è spinoso, ma la nostra scelta è di tipo tradizionale e privilegia senz’altro gli allevamenti al pascolo, rispettosi del benessere animale, specie se condotti su terreni impervi, privilegiando l’allevamento di razze autoctone, storicamente meglio adattabili a condizioni difficili.

Linee guida che potrebbero essere una sintesi dei propositi e degli obiettivi praticati da Giuseppe Grasso, un allevatore siciliano, quarantenne, sposato con Romina, medico veterinario e padre di tre figli, che ha scelto di vivere e lavorare nella sua fattoria di Vizzini, in provincia di Catania.

Giuseppe è una di quelle persone che non si fa fatica a definire “illuminate”: la sua laurea in Economia e Commercio, non solo non è stata un appiglio per garantirsi un futuro più “comodo”, ma ha rappresentato uno strumento per costruire una straordinaria attività imprenditoriale che oggi fornisce prodotti a una clientela di altissimo livello (chef stellati soprattutto) e offre la possibilità di vivere la vita di una fattoria ai tantissimi ospiti che desiderano allontanarsi dai circuiti turistici mainstream.

Guai a chiamare azienda la proprietà di Giuseppe, egli esige che la si chiami fattoria per sottolineare, come se ce ne fosse bisogno, l’artigianalità del suo lavoro, un concetto che si oppone con forza alla “industrializzazione” di una zootecnia sempre più portata a esasperare l’aspetto quantitativo a scapito del benessere animale e di conseguenza della qualità.

Il suo approccio all’allevamento è frutto di un processo mentale che lo ha portato a sostituire bovini di una razza francese (Limousine), con vacche plurimeticce frutto di incroci tra razze locali (vacche Cinisare e Modicane) con animali di altre razze nazionali.

Giuseppe Grasso e le sue mucche

I bovini di Giuseppe grazie all’aumentata variabilità genetica si adattano ottimamente alle condizioni climatiche tipiche del suo territorio, esplicando al meglio le proprie potenzialità produttive ma soprattutto qualitative.

A ulteriore testimonianza della sua filosofia di vita e di lavoro, Giuseppe è tra i pochi allevatori rimasti a proseguire la pratica della transumanza, ovvero la migrazione stagionale delle mandrie che si spostano da pascoli situati in zone collinari o montane verso quelli delle pianure, al fine di assicurare al bestiame un buon pascolo e un clima ottimale lungo tutte le stagioni. Al contrario di quanto accade negli allevamenti in stalla, dove l’animale è costretto, oltre che a stare in ambienti ristretti, ad un’alimentazione schematizzata e programmata in laboratorio.

L’animale in libertà ha certamente dei vantaggi che l’animale in stalla non possiede: non ha bisogno di essere trattato con antibiotici, si autoregola e dispone di un’alimentazione diversificata.

Il percorso intrapreso dal nostro allevatore non è stato privo di difficoltà, infatti è stato necessario corredarlo con un lavoro di informazione a favore di macellai e consumatori, che spessissimo preferiscono un prodotto estero solo per questioni di appiattimento e standardizzazione del gusto.

“Per diventare miei clienti – spiega Giuseppe – occorre venirmi a trovare. Porto il cliente a vedere i pascoli, le mie coltivazioni e i miei animali, e poi parliamo”.

Ma si tratta sempre più spesso di discussioni che esulano dal discorso economico: Giuseppe non vende solo carne (la più buona che mi sia capitato di assaggiare), ma uno stile di vita unico, eppure replicabile.

Basta volerlo.

 

 

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