BANCARELLA MILAN

Di tanto in tanto ci troviamo a parlare di stranieri che irrompono nel calcio italiano, domandandoci puntualmente quali vantaggi possano avere in un Paese paludato nelle sabbie mobili della politica, dove i club sperperano soldi a profusione e gli stadi di proprietà – il vero patrimonio – si contano sulla punta delle dita. Di conseguenza abbiamo un Pallotta rientrato a Boston da Roma, senza esser riuscito in 9 anni a scavare il primo cucchiaio di terra per le fondamenta del nuovo impianto. Abbiamo Commisso e Saputo, italiani che hanno fatto fortuna negli USA, che non hanno mai nemmeno provato a spingere Fiorentina e Bologna fuori da un limbo di mediocrità assoluta, tecnica e societaria. Poi ci sono Milan, Inter, Atalanta, Spezia, Genoa, Venezia, Lecce, Como, Spal, Ascoli, Parma e Pisa.

Costando poco, perché arrivano generalmente da gestioni finanziarie disastrose, i club italiani hanno quindi grandi potenzialità, almeno fino a quando gli investitori non sbattono il muso contro la nostra burocrazia, le nostre contraddizioni, i molti nonsensi. Politica, dicevamo. Nella maggior parte dei casi (l’Inter è un’eccezione) questi imprenditori esteri nel pallone italiano sanno rimettere a posto i conti (più raramente le squadre), aiutando il nostro sport nazionale a non perdere per strada stemmi e bandiere gloriose destinati inesorabilmente al default. Assai più difficilmente migliorano sensibilmente la parte sportiva: di nuovo l’Inter è un’eccezione, in questo caso positiva, ma se parliamo del Fondo Elliot al Milan dobbiamo farlo pressappoco in termini di miracolo.

Preso il club rossonero con i conti per aria, dopo i decenni generosi di Berlusconi e l’interregno-farsa del cinese Yong Hong Li, la famiglia Singer ha ridato al club rossonero una stabilità finanziaria assoluta, ponendolo ai primi posti tra le aziende italiane in termini di bilancio e sul gradino più alto del calcio sempre a proposito di conti a posto: brand cresciuto, sponsor moltiplicati e costi rimpiccioliti nonostante la pandemia. Questo ha reso appetibile il Milan già da tempo: vi si avvicinò ingolosito il gruppo LVHM alla vigilia del lockdown e adesso le firme di Investcorp sono imminenti sui contratti di trasferimento delle quote. Mentre con i numeri Elliot ci sa fare più di chiunque sul pianeta (nel suo settore), essendo il primo fondo attivo del mondo, era del pallone che mancavano esperienza e conoscenza e in questo senso il capolavoro è firmato Paolo Maldini. Dopo essersi affiancato a Leonardo e Boban per i primi rudimenti, abbandonato dal brasiliano e dal croato in disaccordo con la politica aziendale, Paolo ha fatto da solo a braccetto con Frederic Massara che la sa lunga e silenziosa. Hanno arricchito la rosa, hanno riportato il Milan in Champions e stabilmente ai vertici del campionato, hanno scovato campioni in erba e rigenerato vecchi bucanieri come Ibrahimovic, Kjaer, Florenzi, Giroud.
Con la squadra in testa alla classifica e la proprietà in testa a quella dei libri contabili, ecco planare sul Portello (sede del club) Investcorp, fondo arabo da 40 miliardi di dollari con sedi sparse sul globo e quartier generale in Baharain, partecipato al 20% dal fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti (243 miliardi di asset di gestione). Sono già approdati in Italia da vari lustri, con i marchi Gucci (1988) e Riva. Storia e cifre che autorizzano i sogni dei tifosi, ma immaginare un Milan stellare nel giro di poco tempo è piuttosto un’utopia.
Primo, perché gli emiri ancora non conoscono Sala: il sindaco di Milano non si piega e non si spezza nella sua miope cocciutaggine sulla questione nuovo stadio. Tra l’altro Investcorp è specializzata nel settore immobiliare ed è difficile che concepiscano, o accettino, l’idea di una comproprietà con l’Inter. Secondo, perché la strategia Elliot-Maldini di parsimonia negli acquisti e negli ingaggi non sarà rivoluzionata in partenza: sarebbe un autogol clamoroso, generando la corsa ai ritocchi della “rosa” attualmente a disposizione dell’allenatore Stefano Pioli che l’ha portata al vertice. Terzo, perché di stelle in questo momento c’è penuria nel panorama internazionale. Ovvero chi le ha se le tiene e se le mantiene, quindi è più serio e prudente continuare grazie al fiuto di Maldini e del suo staff di scouting.
Quello che è certo, è che le vittorie sportive per Investcorp saranno in cima agli obiettivi parimenti a quelli economico-finanziari, non potendosi scindere le due cose nel loro modo di concepire l’investimento: per immagine, ma anche per concretezza. Certo la passionalità, la partecipazione e l’entusiasmo degli arabi nello sport è più calda, diremmo più mediterranea e italiana, di quella distaccata e algida della proprietà attuale, presente in tribuna non più di 3-4 volte in questi anni. Elliot non resterà in quota, cederà e lascerà. Se in dote Investcorp riceverà anche un triangolo tricolore, sapremo tra meno di un mese.

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