BALLATA TRISTE PER I RICCHI E POVERI

Il biondino, la brunetta, la gnoccolona e il naso. Riassunto: i Ricchi e Poveri.

Se ne è andato Franco Gatti, il naso di cui sopra, se ne è andato per primo dopo essere stato l’ultimo, a destra o a sinistra, del quartetto con il quale abbiamo cantato, dai su, dovunque, sui torpedoni, al bar, in automobile, sotto gli ombrelloni, nelle gite campagnole.

Per i critici musicali non era roba seria, l’arte della melodia prevedeva, per costoro, altri ritmi, altre tonalità, altre facce, altri tatuaggi, altri buchi sulle braccia. Ho usato apposta quest’ultima immagine dura perché Franco, il nasone o il baffo, si era smarrito improvvisamente in piena nebbia di esistenza quando suo figlio, Alessio, di anni ventitré, venne trovato disteso come un giovane addormentato però morto, per uso di sostanze, vittima di una vita spericolata di quelle che piacevano a Vasco, ma non a Franco.

Oggi, quegli stessi critici malmostosi e schizzinosi ricordano e narrano e celebrano la scomparsa di un artista improvvisamente degno di note e di ammirazione. Così è.

Franco Gatti era un genovese di quelli che si conoscono, parole rare e un certo gusto dell’ironia sottovoce, che nel caso suo era bassa, di contralto agli schizzi dell’Angela in quanto Brambati e diversa assai dal tono furbo di Angelo, cioè Sotgiu, e nulla a confronto dei sospiri della Marina, la Occhiena che dirottava altrove l’attenzione degli astanti.

Sapeva cantare, il Gatti, questo gli è stato sufficiente per far parte di un complesso, band, quartetto nell’epoca in cui i gruppi, post Beatles, cercavano di essere fab four a prescindere. E il trio ligure, con il completamento del sardo biondo e bello, si infilò tra gli interpreti di canzoni cosiddette popolari, facili all’ascolto, semplici da ripetere, tipo Cotugno, Al Bano, Reitano, tutta roba buonissima però snobbata dall’intellighenzia di cui sopra che, tuttavia, trascurava volutamente un fatto e un retroscena: i quattro erano stato scoperti da Fabrizio De André e infine costruiti da Franco Califano, che aveva imposto alla Marina e all’Angelo di passare dal coiffeur per rifarsi il colore dell’ondame, alla Brambati di tagliarsi la chioma alla maschietto e a Franco, a Franco niente, andava bene così, tagliato in falegnameria.

Cento anni in giro per il mondo, Che sarà della mia vita chi lo sa e mille altri testi e musiche con la gente in piedi a cantare e danzare, come nelle feste matrimoniali e nelle sagre di paese.

Quando gli dissero che suo figlio era morto, Franco si trovava a Mosca per un concerto e di colpo capì di essere povero, poverissimo, e non più ricco, mai più ricco. La prima cosa bella che aveva avuto dalla vita lo aveva lasciato. Provò a resistere, la riunione dei quattro fu uno spicchio di luce, però fioca, nella nebbia calata di colpo. A ottant’anni ha finito di inseguire un’ombra.

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