BALLARE O PIANGERE

Anche Gramellini, sul “Corriere”, commenta la notizia. Questa: “Durante i funerali di Agnès Lassalle, l’insegnante uccisa la scorsa settimana a San Juan de Luz, nei Pirenei francesi, da un alunno, il marito inizia a ballare davanti alla sua bara. Un’attività che la coppia amava fare insieme”.

La notizia prosegue: anche la folla si è unita al ballo. Gramellini la descrive così: “Un signore incanutito inizia a volteggiare con una rossa, si aggiunge un’altra coppia, e poi due donne, e due ragazzi: sembra di essere sul set di un film dove si sta girando una festa di nozze. Al centro del quadro Stephane e il fantasma di Agnès, con quei loro passi perfetti, condivisi chissà quante volte in vita. Non mi era mai venuta così tanta voglia di ballare”.

Ho provato a fare mente locale. Non ho dubbi: di fronte alla bara di mia madre e di mio padre (e di tanti altri che, ahimè, ho visto morire) non avrei mai e poi mai pensato di mettermi a ballare. Mi domando: quale è il modo più profondo, più partecipato, più umano di vivere la morte? È più umano Gramellini che ha voglia di ballare o sono più umano io che ho solo voglia di piangere?

Mi rendo conto di essere un po’ rozzo e anche un po’ clericale. Mi rendo conto anche della ragione che ha spinto il marito di Agnès Lassalle a mettersi a ballare. Amavano ballare, lui e Agnès, e amavano ballare sulle note di quella canzone. Il marito vuole ricordare i momenti belli passati insieme e con il suo gesto rimette in piedi il passato felice. Gesto struggente.

Ma, reagisco io, Agnès non c’è più. Quel ballo, struggente e bellissimo, a me pare una forma commovente di illusione: facciamo come se. Illusione voluta, ovviamente, perché anche il marito sa molto bene che Agnès è stata uccisa.

Ecco le due semplicissime possibilità di fronte all’ineluttabile della morte. O fare come se non ci fosse, dimenticarla e ballare. Oppure prendere atto che invece c’è, accettare il dolore lancinante del distacco e piangere. La prima è una pietosa comprensibilissima illusione, la seconda è una impietosa, lucida presa d’atto.

Io preferisco piangere.

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