BALCONI AMMAINATI

di CRISTIANO GATTI – Riconosciamolo: l’Italia della seconda ondata ha un altro aspetto e un’altra postura. Confrontando i due lockdown, la differenza è choccante. Non è passata un’era glaciale, è trascorsa soltanto un’effimera estate di illusioni. Eppure siamo decisamente in un altro mondo.

Il primissimo e immediato colpo d’occhio: spoglio, completamente sguarnito, di bandiere. Dove sono finite, dove abbiamo riposto tutti quei tricolori esibiti alle ringhiere e ai davanzali. Nessuno può aver dimenticato la prima volta. Come dimenticare quell’afflato patriottico e quel moto dei sentimenti. Una vera febbre, in questo caso sana e vitale, che contagiava da un balcone all’altro. Mai viste in Italia tante bandiere esposte per motivazioni civili, neppure il 2 giugno, men che meno il 25 aprile. Avrebbero fatto piangere come un vitello il presidente Ciampi, sacerdote del Risorgimento e della Repubblica, che all’inizio del nuovo secolo ebbe la forza e il coraggio di tirare fuori quel tricolore dal grande armadio della storia, dove si ripongono i capi fuori stagione e fuori moda. E assieme a quelle bandiere, tutto il resto: cantanti e pianisti da tetto, Mameli condominiali, filmatini in chat pieni zeppi di sorrisi, di auguri, di slogan, perchè stavolta nascerà un mondo migliore e niente sarà più come prima. Un continuo risuonare di parole come solidarietà, sensibilità, generosità, tutta una vita accentata da queste cose belle. Mai parlato tanto di patria. Cori, striscioni, luminarie. E tanta, tanta empatia tra gli uni e gli altri, persino con gli odiosi coinquilini del piano di sopra che quando bagnano le piante ci inondano il bucato.

A un certo punto, il fenomeno appariva decisamente paranormale: quella che alle origini era una tragedia, la peggiore di tutte, sembrava come girarsi in festa. La festa nazionale dell’orgoglio. Una pratica e domestica festa da balcone, come il barbecue portatile con le ruote sotto. Non per dire, ma Salvatores ci fece pure un film edificante e idealista, senza copione, senza attori, definendolo – pure lui con orgoglio – “un film collettivo”.

Guardiamoci allo specchio adesso. Gli unici moti popolari compaiono a macchia di leopardo per protestare sotto la prefettura, sotto la casa del sindaco, sotto qualcuno, magari con l’imbarazzante alleanza degli esagitati professionali che incendiano cassonetti e sprangano i vetri delle Volanti. Di bandiere al balcone non se ne parla più: resistono soltanto dei patetici vessilli stinti e stracciolenti, tipo fine battaglia di Caporetto, sopravvissuti (o dimenticati) dalla primavera. Con essi, sparito l’orgoglio. E con l’orgoglio, dissolta la patria.

Se un marziano capitato qui per caso ad aprile decidesse di farsi un altro giro di questi tempi, certamente si chiederebbe se per caso il suo navigatore intergalattico non gli abbia giocato uno scherzone. Lui con noi si domanderebbe inevitabilmente: ma è lo stesso posto? Meglio ancora: è lo stesso popolo?

Cosa sia successo, sarebbe difficile spiegarlo. A lui e a noi stessi. Il governo e i governatori non sono cambiati. Sono passati solo pochi mesi. Eppure, dall’Italia dell’orgoglio ci ritroviamo all’Italia della rabbia e della depressione.

Allora: era vera quella o è vera questa? Certo oggi emerge la grande stanchezza. Ma non può essere solo questo. L’impressione è che l’annunciatissimo mondo migliore sia durato pochissimo, giusto il tempo di raccontarcela. E che la promessa del niente sarà più come prima sia già girata rapidamente nella certezza del tutto come prima. Se possibile, pure peggio.

Per dirla tutta, fuori dai denti, fino in fondo: la febbre patriottica non è una sindrome che passi con poche gocce di tachipirina, se è spontanea, sincera, vera, resta per sempre. E se invece si dimostra volatile e passeggera, ha tutta l’aria di una improvvisata messinscena. Così, è forte la sensazione che in questa seconda prova semplicemente abbiamo gettato la maschera. Che in primavera, come diceva Pirandello sui tanti momenti della vita, abbiamo solo recitato una parte. Chiuso il teatro, gli attori sono tornati uomini. In tutto e per tutto, nel bene e nel male.

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