AVVISO ALLE SIGNORE: 20” SONO TROPPI PER REAGIRE ALLE MOLESTIE SESSUALI

Nei complessi e articolati rapporti che intercorrono tra uomini e donne, le variabili sono pressochè infinite e, pertanto, anche giudicare, in questa inafferrabile materia, è estremamente difficile. Tuttavia, un conto è parlare della relazione tra Mario e Maria, seduti al caffè: altro è giudicare un caso di molestie. Complicati fin che si vuole, i rapporti sono una cosa e i reati un’altra: non a caso, dei primi, di solito, si occupano i pettegoli e, dei secondi, i magistrati. E il compito dei magistrati dovrebbe essere quello di stabilire la verità.

Invece, nel recente caso dell’assistente di volo Barbara d’Astolto, che ha denunciato per molestie un sindacalista, accusandolo di averla palpeggiata, durante un incontro di lavoro, le cose sono andate alquanto diversamente. I giudici, che, per inciso, erano tutti donne, hanno stabilito che la ricostruzione dei fatti fornita dalla signora era perfettamente credibile e, tuttavia, hanno assolto il molestatore, per insussistenza della molestia.

Mi rendo conto che la cosa, detta così, suoni un tantino surreale: se ve la spiego però, temo che diventerà definitivamente surreale. Comunque sia, ci provo.

Dunque, quattro anni orsono, la signora in questione ha denunciato un sindacalista della Cisl, accusandolo di averla molestata, negli uffici sindacali di Milano Malpensa. I magistrati, accolta la narrazione della vittima, hanno assolto il presunto palpone, perché la signora d’Astolto ha impiegato più di venti secondi a reagire e ci ha messo un po’ a denunciare. Alla faccia della solidarietà femminile, verrebbe da dire. Orbene, immaginatevi di essere una graziosa quarantenne e che un vostro collega vi metta le mani addosso, in un contesto del tutto imprevedibile: cronometriamo l’operazione. Diamole, diciamo, cinque secondi per domandarsi se sia vero o se stia sognando. Altri cinque per pensare alla possibile via di fuga. Cinque, poi, se ne vanno nel cercare di prevedere la reazione del gentiluomo. E cinque concediamoli a una signora che venga palpeggiata e che provi, insieme, stupore, paura e vergogna. A ciò si aggiunga che non tutti hanno i tempi di reazione di un centometrista. Infine, la denuncia. In un Paese come il nostro, denunciare un molestatore, magari con qualche aggancio in alto, può significare umiliazioni, minacce, perfino qualche rischio. E la sentenza del tribunale, ad abundantiam, ci dimostra che farlo, più che rischioso, può apparire, talvolta, del tutto inutile.

Perché, diciamocelo, una sentenza come questa, per di più proveniente da un collegio declinato al femminile, fa un po’ pensare ai bei tempi in cui una minigonna veniva indicata come elemento di provocazione, in un processo per stupro. Certo, il caso è ben diverso, ma questa faccenda dei venti secondi rimane sconcertante. A meno che non si intenda la vita come il Far West e, in caso di fastidi, molestie o indesiderati approcci, si estragga la Colt alla velocità del lampo, eliminando al volo il problema.

E, alla fine, di riffa o di raffa, si blatera tanto di parità di genere, di violenza di genere, di diritti di genere, ma poi, alla fine, ti dicono che, se ci metti più di tot a ribellarti alle palpate di un palpone, in fondo in fondo eri consenziente. Insomma, in ogni donna c’è una punta di masochismo, no? Mamma mia, che schifo di mondo!

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