ATTENZIONE, L’ITALIA RISCHIA DI NON SEMINARE PIU’ GRANO

Le tensioni sul prezzo del grano non accennano a placarsi, ormai questa materia prima viene trattata alla stregua di un titolo speculativo. Durante l’ultima seduta settimanale, dopo un periodo di relativi ribassi, il prezzo del frumento ha registrato un incremento del 6,6% in un solo giorno.

Si ipotizza che questo repentino rialzo sia dovuto alla ripresa del dialogo tra Stati Uniti e Cina, con quest’ultima che sembra valutare la possibilità di acquistare grano straniero per l’importazione.

C’è da aggiungere che questa improvvisa fiammata è stata successiva ad un breve periodo in cui i prezzi hanno avuto una dinamica ribassista dettata, a parere degli addetti ai lavori, da un diffuso timore che le dinamiche inflattive, accompagnate da una serie di attentati, potessero determinare un periodo di stagnazione economica.

Questi timori hanno portato a una significativa dismissione di asset agroalimentari da parte di grandi investitori istituzionali, per cercare di raffreddare i prezzi.

Una volta che queste ansie si sono affievolite, sono ripresi improvvisamente e corposamente gli acquisti, con relativa fiammata dei prezzi.

Non dimentichiamo che sullo scenario internazionale dei prezzi dei cereali in generale, e del frumento in particolare, grava sempre lo scenario di guerra ucraino, che determina un costante stato di incertezza, ovvero il miglior substrato per gli speculatori.

Ovviamente il settore cerealicolo nostrano rimane coinvolto in queste dinamiche, anche se con peculiarità e preoccupazioni di taglio indigeno.

I segnali che arrivano dalla campagna di raccolta in corso sono tutt’altro che tranquillizzanti: il calo delle rese dovuto a condizioni meteo complicatissime, i prezzi di vendita che spesso non seguono l’andamento delle contrattazioni locali ed internazionali, e gli altissimi costi di produzione, sono tre macigni che gravano sul futuro della cerealicoltura italiana.

Secondo un’analisi di Coldiretti “in Italia la produzione di grano è stimata quest’anno in forte calo con un taglio medio superiore al 15%, per effetto dei rincari dei costi di produzione e della siccità che ha tagliato le rese dal Nord a Sud del Paese”. La riduzione delle rese” aggiunge Coldiretti “in alcune aree più produtti supera il 30%”.

Secondo Coldiretti, in Italia, il raccolto dovrebbe attestarsi attorno ai 6,5 milioni di tonnellate a livello nazionale, su una superficie totale di 1,71 milioni di ettari coltivati fra grano duro per la pasta (1,21 milioni di ettari) e grano tenero per pane e biscotti (oltre mezzo milione di ettari).

Le stime di Coldiretti portano a una resa media per ettaro di 3,8 tonnellate ad ettaro.

E proprio da questi dati vorremmo fare una previsione sullo scenario futuro della cerealicoltura italiana.

Ipotizzando queste rese e un prezzo medio di vendita di 0,5 € al chilo (prezzo medio delle ultime settimane alla Borsa di Foggia), si deduce che l’incasso lordo di un agricoltore è di 1.900 € a ettaro.

A questo incasso, ovviamente, bisogna detrarre i costi di produzione, che sempre secondo un’analisi di Coldiretti sono quantificabili, per l’annata agraria trascorsa, a circa 1.500 € per ettaro.

Da un rapido calcolo si stima che un granicoltore, sempre secondo le stime di Coldiretti, abbia avuto un margine di circa 400 € ad ettaro.

Ma la strada del guadagno (anche se minimo) è lastricata di incognite.

Spesso il prezzo pagato agli agricoltori, purtroppo, non corrisponde a quello dell’andamento mondiale delle quotazioni.

Ad esempio il listino settimanale dei prezzi all’ingrosso della Borsa Merci di Foggia del 6 luglio (una delle principali piazze di riferimento) ha evidenziato un andamento in diminuzione. Il prezzo è andato giù con una variazione che oscilla tra i 18 e i 23 euro in meno a tonnellata.

Spesso, approfittando delle esigenze degli agricoltori di incassare qualcosa per poter onorare gli impegni assunti, commercianti e stoccatori tirano in modo anche selvaggio sul prezzo, determinando una situazione di stress soprattutto per il futuro delle aziende cerealicole.

Gli imprenditori agricoli reclamano il giusto prezzo, altrimenti, con questi costi di produzione, seminare sarà un’operazione ad elevato rischio.

Siamo infatti di fronte a una certezza e ad un’incognita: sicuramente i costi di produzione saranno più elevati dell’anno appena trascorso (ad esempio il prezzo del gasolio agricolo è passato in 6 mesi da 0,7 €/litro a 1,6 €/litro), mentre i prezzi di vendita saranno ovviamente ancorate alle dinamiche del mercato e peggio ancora degli speculatori.

La situazione richiede un’attenzione massima, seminare in queste condizioni può essere esiziale per il futuro stesso della cerealicoltura italiana.

Cosa fare per limitare i rischi?

Il quesito non è di facile soluzione, ma sottoscrivere contratti di produzione a prezzi predeterminati e un’azione politica che tagli decisamente i costi di produzione (ad esempio le accise sul gasolio) potrebbero rappresentare una riduzione del grado di incertezza che grava sui produttori.

Sempre che in questo Paese a qualcuno interessi produrre ancora grano.

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