Mentre Bruxelles ci manda gli auguri in italiano della poliglotta presidente Ursula Von der Leyen (grazie, ma non rianimiano nessuno); mentre Francia e Germania ci negano le mascherine in quella specie di asilo Mariuccia che sa essere la UE quando si mette d’impegno; mentre Donald Trump blinda gli Stati Uniti con superficiale ritardo, ecco che i cinesi stanno a un metro di distanza ma ci trattano con i guanti.
L’effetto è positivo, la via della seta non funziona «solo andata» e in molti si stanno rotolando sui divani per questa nuova alleanza con la dittatura soft che piace molto anche a Papa Francesco.
Pure noi applaudiamo perché nel momento del bisogno, quando tendi una mano, un aiuto concreto è meglio di una citazione di John Kennedy o di un’immagine del Parlamento europeo al tramonto (in tutti i sensi). I cinesi hanno fatto tesoro della loro emergenza e stanno trasferendo le competenze acquisite in prima linea per aiutare il pianeta a uscire dal dramma. Lo hanno fatto con Corea del Sud e Iran, ora lo fanno in Italia. Bravi, un grazie sincero.
Ma nelle fotografie il grandangolo è decisivo e nelle partite di calcio c’è anche il secondo tempo. Allora è inevitabile dire che lo fanno anche perché a diffondere il virus sono stati loro. Lo fanno anche perché sapevano dal 17 novembre del contagio mortale a Wuhan e lo hanno nascosto al mondo fino al 23 gennaio, incarcerando e facendo scomparire i ricercatori che cominciavano a parlare del virus sui media.
Due mesi abbondanti persi per un’epidemia di questa portata sono un’era geologica. Lo fanno anche perché, se avessero chiesto per tempo l’aiuto dell’Oms e di eccellenze mondiali della sanità come il Mit di Boston e l’Istituto Pasteur di Parigi, forse oggi saremmo meno lontani dal vaccino.
Lo fanno anche perché la demenziale operazione simpatia tutta italiana (#abbracciauncinese, involtini primavera in prima serata Tv), che ha fatto esplodere il virus, necessita di opportuna riconoscenza. Arrivano i nostri, ma con prudenza.