ARRAFFARE NEL NOME DI FALCONE

Daniela Lo Verde, preside del liceo “Falcone”, nel quartiere degradato dello Zen di Palermo, è ai domiciliari. L’accusa è di aver sottratto per sé e per il proprio vice Daniele Agosta beni di vario tipo destinati alla scuola e finanziati da fondi europei: pc, tablet, tv, e cibo. I giornali, a proposito del cibo, si divertono – se è permesso ridere su un fatto su cui bisognerebbe piangere – si divertono a fare la lista: origano, tonno, riso, pasta, ma anche rosmarino, barattoli di pomodori, condimenti vari. E poi ancora: acqua, birra e perfino alcoolici. Alcoolici per la mensa scolastica. Magnifico.

Il caso della preside Lo Verde è a modo suo drammaticamente esemplare, non l’unico purtroppo, dei rapporti malati fra il pubblico e il privato, tra la società e l’individuo. In effetti, la distanza fra lei e le istituzioni era massima: le istituzioni, infatti, erano quelle europee, dalle quali provenivano i fondi. Non quelle della Sicilia e tantomeno quelle di Palermo.

Così, in questo spazio amplissimo tra lo Zen di Palermo e l’Europa, sono diventati più facili i giochi. Si può essere i campioni dell’antimafia di fronte alla Amministrazione della città e della Regione e, nello stesso tempo, essere ladri di fronte alla lontana Europa. Questa non controlla quella e la preside del liceo “Falcone” può portarsi a casa la borsa spesa pagata da Bruxelles.

Quando le istituzioni alle quali si serve sono molto lontane si chiede a chi le rappresenta e ne è finanziato un supplemento di senso civico: proprio perché lontane io, qui, allo Zen devo rispettare di più quelle istituzioni perché sono importanti – c’è di mezzo l’Europa – e proprio perché non possono controllare tutte le mie fatture. La preside Lo Verde, invece, non solo non ha dato il massimo, ma ha negato anche il minimo e si è messa a razziare i beni di tutti accaparrandoli per sé.

Ha approfittato della distanza ma, insieme, anche dell’informazione e dell’immagine di lei che l’informazione aveva creato. Sono state ritrasmesse, in questi giorni, alcune sue interviste dove la preside parla, enfaticamente, della lotta alla mafia e alla illegalità sua e della sua scuola. Era l’immagine che era stata data in pasto all’opinione pubblica, tutta l’opinione pubblica: della città, della Regione, dell’Italia intera e, pare, anche di oltre Italia. Si era così progressivamente elaborata una seconda distanza: quella fra l’immagine pubblica della paladina della legalità e quella privata della arraffatrice di beni non suoi.

Tutte le favole, anche quelle nere come il carbone, hanno la loro morale. Quindi anche la favolaccia nerissima della preside Lo Verde. Fedro ed Esopo avrebbero potuto concludere più o meno così: la favola dimostra che chi predica troppo bene rischia, quando razzola, di razzolare malissimo.

Oppure, seconda ipotesi: la favola dimostra che l’uomo non è né un angelo né una bestia. E purtroppo, quando vuole fare l’angelo, finisce per fare la bestia.

Ma questo non potevano dirlo Fedro ed Esopo, perché la frase è di Pascal, venuto qualche decina di secoli dopo Fedro ed Esopo. Ma è una frase, anche se un po’ dotta, che potrebbe andar bene anche per Fedro ed Esopo. E che va benissimo per la preside Lo Verde, ovviamente.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *