“ANCHE A VICENZA LA GIUSTIZIA HA TUTELATO PIU’ IL CARNEFICE CHE LA VITTIMA”

di FIORENZO ALESSI  (avvocato penalista) – Anche se interesserà ben poco, ho già abbondantemenrte superato i 35 anni. Non di esistenza terrena, ma di esercizio della professione di avvocato. A puntualizzare, giacchè non è distinzione che reputo superflua, di avvocato penalista .

A dirla tutta, per una serie di motivi che ad argomentarli non basterebbe un volumetto, nel corso degli anni – belli, rifarei tutto senza stare a pensarci un attimo – trascorsi tra Uffici ed aule Giudiziarie, istitituti Penitenziari, nell’assistenza e difesa di soggetti di varie provenienze famigliari ed estrazioni sociali , per la gran parte accusati di delitti, più o meno gravi, ma altresì vittime di reato, ho dovuto prendere atto che non sempre “il tempo è galantuomo” .

Non è patetica nostalgia di chi ha ormai più passato alle spalle che futuro davanti, ma è solo una constatazione di chi voglia davvero vedere, senza limitarsi a guardare.  La decadenza e lo svilimento delle libere Professioni in senso lato, ed inevitabilmente (davvero?) della professione Forense, definita “nobile” non per caso ma per motivi che non sta certo a me rammentare, ha fatto il paio con quello che, ad essere benevolo, definisco un malefico  pressapochismo nell’esercizio e svolgimento del proprio lavoro.

Per carità, questa sorta di crescente “sfacelo” trova ancora sacche di resistenza, lodevoli e benemerite. Sempre più in minoranza, ma esistono. Ci sono ancora, anche tra i bistrattati “giovani”, donne e uomini che credono in ciò che fanno, e lo fanno nel miglior modo possibile.

Anche quella che in termini appropriati e di ordine generale è definita l’Amministrazione della Giustizia non è rimasta un’isola felice, anzi!

Per tacere pietosamente d’altro, da parte di un legislatore più emotivo che razionale si è abbattuta negli anni una caterva di rattoppi – soprattutto normativi e, sciaguratamente, sulla falsariga delle grida di manzoniana memoria –  apportati per la gran parte a …tappare le falle di una barca nella tempesta. Non dico a chi ne faccia quotidianamente esperienza, ma ad un semplice osservatore attento, è apparsa  ancora più palese l’ampiezza della voragine che s’intendeva colmare od alla quale, almeno, porre rimedio.

E’ purtroppo di ricorrente e tragica attualità la commissione di atti violenti, financo mortali, in danno delle donne:  compagne di vita, fidanzate o mogli, anche semplici amiche. Si è inteso qualificare e specificare come FEMMINICIDIO  l’estremo ed irreparabile atto di siffatte condotte, parimenti a fondare una serie di aggravanti del già di per sè gravissimo delitto di OMICIDIO. Semmai non bastasse, non è raro il caso in cui alla tragedia si aggiunge il dramma.

Nel nostro ordinamento processualpenalistico  esistono una serie di (legittime) garanzie difensive che finiscono per tutelare ben di più coloro che sono accusati di aver perpetrato il crimine, piuttosto che quei soggetti che, a vario titolo, del crimine sono state vittime. A semplificare brutalmente, le regole del processo penale tendono a favorire la difesa per il carnefice, piuttosto che della vittima. Poi ci ritroviamo regolarmente davanti a fatti tremendi come quello di Vicenza.

“Voglio Giustizia”, “Ho fiducia nella Giustizia”, ” Giustizia è fatta”, e frasi simili rappresentano, quando va bene, degli slogan con i quali riempirsi la bocca. Nella realtà, le cose sono diverse, e sulla Giustizia, alla fine dei giochi, ha  spesso prevalenza la Chimera.

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