di TONY DAMASCELLI – Che altro può accadere? Sono infine stanco di raccontare chi non c’è più, il camion è carico di bare che stanno portando via una fetta della mia vita che era la vita di tutti.
Paolo Rossi è stato di tutti, era un ragazzo come noi ma per lui non ci sarà delirio, non ci saranno fumogeni, cortei, beatificazioni, baruffe tra fazioni. Paolo portava il cognome più comune, uno qualunque e, a ripensarci, è stato il qualunque diventato idolo, campione del mondo, un ragazzo senza tatuaggi, normale nel fisico, già fragile nelle gambe eppure elegante e astuto, abile come deve essere un attaccante mai plateale.
Se ne è andato di notte, come sanno fare i campioni, scegliendo lo scuro e il silenzio come era stata la sua carriera, nonostante la pazza gioia di Madrid e di altre cento, mille partite. Ha vestito maglie belle e illustri ma è stato il calciatore di tutti, il compagno di classe, quello sempre educato, diligente, ben pettinato. Mai fasullo, anche quando finì in prima pagina non per i gol ma per la vicenda acida delle scommesse. Pagò quella colpa, se colpa ci fu, uscì dalla vergogna e regalò al Paese il titolo dell’Ottantadue, tre gol al Brasile, e ridemmo insieme quando raccontai la storiella che i brasiliani non compravano più uova, perché le aprivano e vi trovavano tre rossi. Quei giorni di ritiro a Pontevedra trascorsero tra parole sussurrate e una complicità che di colpo scomparve per la bizzarria di un collega.
Paolo stava spiegando che la lontananza dai famigliari, mogli o fidanzate, non era poi così pesante, lui con Cabrini, compagno di squadra, di stanza e di chiacchiere, riempiva comunque le ore. Si chiuse con una battuta, ecco perché Cabrini cammina sinuoso, forse pitterà le labbra con il rossetto. Uno dei tre cronisti presenti ebbe l’idea sciocca di scrivere che tra Rossi e Cabrini l’intesa era totale, in tutti i sensi. Va da sé che per i brasiliani, nostri avversari, si trattasse di maricones perdidos, di omosessuali persi. Scattò il silenzio stampa, già supportato da altre questioni, Paolo, come tutti i suoi sodali, eccetto Zoff portavoce, serrò le labbra, al punto che, dopo la vittoria sulla Polonia, con due gol suoi, a Giampiero Galeazzi, spuntato in campo con il microfono, replicò: “Non ho parole!”.
Così è stato, un ragazzo di Toscana di pensieri mille e di parole rare, mai protagonista esplosivo, mai polemico e irriverente, però al centro di contenzioso per il valore di mercato a lui attribuito da Giussy Farina che lo considerava una preda di caccia e nella busta della compravendita scrisse due miliardi e rotti, soffiandolo a Boniperti. Franco Carraro si dimise da presidente del calcio, definendo quella cifra una vergogna.
Paolo nulla c’entrava con i miliardi folli, continuò a fare gol con il Vicenza e altrove. E ha continuato ad accarezzare le amicizie di adolescenza, Zanone e Marocchino. Gli mancheranno e lui mancherà a Nick e a Meco, gli mancheranno i crumiri di Casale Monferrato, gli mancheranno le tavolate al Forte. Spero che il calcio di lui si ricordi, come, invece, lo aveva dimenticato.
Buonasera Sig. Damascelli,
mi chiamo Daniele e sono un ascoltatore di Radio Radio.
Ieri mattina ho avuto modo di ascoltare il suo intervento in cui commentava la scomparsa di Paolo Rossi.
Ciò che ha detto mi ha colpito e mi ha spinto a contattarla.
Volevo dirle che le ho scritto un messaggio privato su Messenger Facebook, spero possa leggerlo .
Continuerò a seguirla in radio!
Saluti
Daniele
Dottore buonasera, ho sempre ritenuto il rapporto tra Bearzot e Paolo Rossi un esempio meraviglioso di vita e sport, due uomini veri . Grande il dolore per la scomparsa di entrambi, per me che devo assistere al teatrino dì nullità tatuate e urlanti al minimo tocco. Ma la storia rimane e ci da’ ossigeno, la memoria prima di tutto.