ALTRO CHE BEATRIZ, IL TEST ESTREMO SULLA SOLITUDINE E’ QUI FUORI

“Sono rimasta ferma al 21 Novembre 2021. Non so nulla di che cosa sia successo dopo nel mondo”.

Dopo 509 giorni, l’alpinista spagnola Beatriz Flamini è uscita dalla grotta di Los Gauchos, in provincia di Granada. Un anno, quattro mesi e 22 giorni senza alcun contatto con il mondo esterno, mentre fuori scoppiava la guerra in Ucraina e moriva la regina Elisabetta.

“Ho smesso di contare in che giorno mi trovavo al 65esimo, secondo i miei calcoli”, ha detto la 50enne madrilena che ha partecipato al progetto Timecave, nato per studiare la capacità di resistenza umana in condizioni simili. Durante il tempo trascorso a 70 metri di profondità e in completo isolamento, Beatriz ha detto di essersi dedicata alla lettura, alla scrittura, al disegno e alla tessitura.

“Avevo conversazioni interne e andavo molto d’accordo con me stessa”, ha detto la donna, che ha consumato in totale 1.000 litri d’acqua. “Quando sono venuti a prendermi, stavo dormendo. Ho pensato che fosse successo qualcosa. Ho detto: ‘Di già? Non avevo ancora finito il mio libro’”, ha detto.

Secondo la squadra che l’ha seguita, i 509 giorni trascorsi dalla Flamini sottoterra rappresentano un record mondiale, che attende di essere confermato dal Guinness dei primati. La permanenza è stata interrotta per 8 giorni a causa di problemi tecnici al router con cui mandava informazioni a chi la seguiva da fuori. Questo tempo Flamini l’ha trascorso in una tenda montata a fianco della grotta, senza contatti con l’esterno. La sua impresa sarà raccontata in un documentario prodotto dalla spagnola Dokumalia. (Fonte: “The Post Internazionale”).

Si può fare per soldi? Si può fare per celebrità? Si può fare a seguito di qualche disturbo? Le domande e le risposte sarebbero pane per il nostro Alberto Vito, psicologo, psicoterapeuta, sociologo. Qui però non parlo di Beatriz, ma di noi. Di me. Lo faremmo? Lo farei? Per soldi, sì. Molti, però: una cifra che cambi la vita, quella che resta. Per celebrità? Boh. Chissenefrega: questo tipo di fama quanto dura? Qualche settimana, interviste, talkshow, il documentario. Fine. Disturbi? Sì, qualcuno ce l’ho, ce lo abbiamo: lo stress, qualche momento di depressione, rare occasioni di euforia, ma sarebbe quella la terapia? L’isolamento sottoterra per quasi due anni?

Sa più di fuga, diciamocelo. Sa più di andatevene tutti a quel paese. Anche un po’ egoista, se fuori da quella grotta ci fosse qualcuno che è legato a te, ti vuole bene e soffrisse per la tua mancanza. Qui siamo addirittura un po’ oltre, perché per starsene in eremitaggio, senza internet e senza nessun collegamento, si poteva scegliere un’isolotto sperduto, una casupola di legno su una montagna dimenticata, o una cascinetta nella Pampa, un igloo in Alaska. No: Beatriz (o le regole di uno sponsor, non lo so) ha scelto una grotta. Lontana dal sole, dalla pioggia, dal vento. Da un qualsiasi rumore. Lontana dalle chiamate dei call center, dai sorrisi di circostanza a vicini dei quali nemmeno sappiamo il nome, dalle futili chiacchiere col portinaio o col barista, dalla raffica di disgrazie dei telegiornali, dalle catene sociali che spezzeremmo ogni giorno se solo ci accorgessimo di farne parte, dal traffico, dallo smog, dal capufficio, dalle cartelle esattoriali. Da tutto, anche dal mare, dall’alba e dai tramonti.

Chiusi là sotto come sorci, nemmeno per protesta ma per esperimento, per capire. Non ci fosse bastato il lockdown, non ci fossero bastati i test sugli astronauti, sui ricoverati nelle RSA, sulle carceri dure. Non ci fossero bastate le scelte dei velisti che girano il mondo in acqua, da soli, sugli oceani. Vediamo come se la cava l’uomo nei panni di un pipistrello. La vita estrema… Non sono sufficienti le imprese degli alpinisti, degli scalatori, degli amanti del “cave diving”: le grotte, ancora, sì, ma sotto al mare.

L’impresa (l’impresa?) di Beatriz non è roba per noi, vero, ragazzi e ragazze? Immersi nella folla, nel superfluo, nello stress e qualche volta nel disagio, abbiamo tutti bisogno di solitudine. Ma ci bastano eccome un divano e un brandy, per un’oretta, due al massimo, la sera. A quelli come me che ci vivono sempre, da soli. E per quelli che hanno moglie o marito o figli, o vicini rumorosi, suggerisco una passeggiata al parco, una panchina, ogni tanto. Magari una sigaretta.

Guardando il sole, però. Alzando il bavero ai refoli di vento, però. Sentendo il rumore della ghiaia calpestata da una bicicletta, il lontano scampanellare del tram. O in una chiesa, se credete, per una conversazione silenziosa. O in cuffia ascoltando Einaudi o Yiruma. Qualche piccola, breve solitudine. Qualche via di fuga estemporanea. Fuga dalla solitudine da cui ci sentiamo sopraffatti anche in mezzo alla gente, agli amici, ai parenti.

Un giorno gli scienziati scopriranno, e si faranno bastare, la solitudine in superficie. Quella in cui viviamo ogni giorno senza dover scendere in una grotta, perché la viviamo in casa nostra, nel nostro condominio e nelle nostre città. Ed è dalla solitudine che cerchiamo in realtà di scappare, molto più spesso che dal caos.

Un pensiero su “ALTRO CHE BEATRIZ, IL TEST ESTREMO SULLA SOLITUDINE E’ QUI FUORI

  1. Diego dice:

    Ciao Luca, t leggo sempre con piacere , con interesse e conolta ammirazione, ma l ultima frase d oggi mi ha dato una scossa al cuore che nn immagini … ho cercato ato in passato d scappare dalla solitudine , ma solo quando l ho accettata ho trovato una compagna fantastica , che mi ha dato un figlio stupendo … grazie per quello che scrivi e sempre forzamilan

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