ALMENO, FOSSE SOLO PARATICI…

Il gioco al massacro, l’individuazione del capro espiatorio, la caccia al colpevole è un esercizio collaudato e spesso redditizio quando si vuole sollevare un altro po’ di polvere, quando si vogliono sviare le indagini, spostare le attenzioni. O, semplicemente, quando si vogliono scaricare le colpe su uno anziché dividerle tra tutti.

Prepariamoci a questo fritto misto nell’inchiesta che sta travolgendo la Juventus: il bersaglio che piano piano si staglia nella nebbia è Fabio Paratici, delfino di Beppe Marotta prima alla Sampdoria poi alla Juventus, ora al Tottenham. Non sembra destinato, nell’immaginario del club bianconero forse, sicuramente in qualche ricostruzione mediatica forzata che si legge e si ascolta in queste ore, ad essere solo il grande manovratore, ma il vero responsabile del caos. Il suo ruolo, quello di direttore sportivo, è ormai universalmente superato dal fatto che chi lo ricopre deve essere anche un abile finanziere, uno che capisce dove e come coprire i buchi, ingegnandosi tanto più questi diventano numerosi e grandi.

“Il resto lo metto a posto io” non è soltanto una chicca pescata nelle migliaia e migliaia di intercettazioni cui Paratici (non da solo) era sottoposto. “Il resto lo metto a posto io” sembra essere diventata una frase, un dogma in un sistema metodico utilizzato per coprire le perdite a bilancio ricorrendo a un uso smodato, eccessivo di plusvalenze. Con la complicità, è evidente, di altri direttori sportivi e quindi di altre società. “Il resto lo metto a posto io”, lo disse Fabio Paratici al direttore generale del Pisa, Giovanni Corrado, non indagato.

Che Paratici, sott’acqua nel mare del calcio italiano, non fosse solo e unico, lo certifica per primo John Elkann (non indagato) usando un significativo plurale majestatis: “(…) Si sono allargati, ci sono tutta una serie di operazioni che loro hanno fatto (…)”, riferendosi a quel pantano sommerso dei rapporti debito-credito che serviva per chiudere transazioni e completare voci di bilancio non del tutto trasparenti.

Altra prova del mal comune niente affatto mezzo gaudio come spiegano bene altri stralci: “Una situazione che aveva provocato inquietudini e alimentava preoccupazione soprattutto dopo le verifiche della Consob. Stefano Bertola, ex direttore finanziario del club bianconero, discute con Federico Cherubini in un ristorante a Torino: la conversazione intercettata risale al 23 luglio del 2021 e spiega bene quale sia lo stato d’animo per la piega che sta prendendo la vicenda: ‘Una situazione così brutta non me la ricordo. Faccio solo un nome: Calciopoli. Anzi peggio, perché in Calciopoli avevamo tutti quelli che ci davano addosso’. Nelle carte dell’inchiesta vengono menzionati alcuni club italiani di Serie A (quali Sampdoria, Atalanta, Sassuolo, Empoli e Udinese), ma compaiono altre società che militano nelle serie inferiori e club stranieri. I nomi scaturiscono da una telefonata tra lo stesso Fabio Paratici e il direttore generale del Pisa. Discutono di Lucca, l’attaccante che s’era fatta luce in B a suon di gol e adesso è all’Ajax: ‘L’ho sempre fatto, l’ho fatto con Caldara… l’operazione devi farmela fare a me! Dammi retta, l’operazione la faccio io anche per il Pisa! Tu devi darmi solo le linee, il resto lo metto a posto io. L’ho fatto per il Genoa tutta la vita, l’ho fatto per l’Atalanta tutta la vita, l’ho fatto per il Sassuolo tutta la vita… Quando io ho i parametri dopo sistemo tutto …'”.

Federico Cherubini, attuale direttore sportivo della Juventus, viene intercettato telefonicamente in uno sfogo, che poi lo porta ad affermare di “vomitare solo a pensare a quelle cose”. Prima però, come scrive Il “Fatto Quotidiano”, spiega: “Ma abbiamo sostenuto, pompato quel meccanismo, sostenendolo con quelle operazioni scambio… Non so, è stata una cosa che se ci penso adesso dico: ‘Ma come mai non ci siamo fermati prima?’. Noi alle prime riunioni di marzo si parlava di fare 300 milioni di quelli eh!”.

Lo schema insomma è chiaro. Dirigeva l’orchestra una figura di spicco assoluto tra quei direttori sportivi-finanzieri che si muovevano e si muovono con disinvoltura nei meandri di bilanci, plusvalenze, cartellini, commissioni e ingaggi. Ma era, appunto, un’orchestra. Non prendetevela adesso con un ipotetico Von Karajan dei tarocchi: bisognerà continuare a indagare tra batteristi e trombettieri, fagotti e controfagotti, tenori e tutto il coro, perché al concerto hanno contribuito in molti. Il direttore d’orchestra da solo non può suonare nemmeno una nota.

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