Nelle ultime ore sono Lombardia e Piemonte, le stesse regioni che fino all’altra sera inondavano il paese di grida disperate e richieste d’aiuto, a “premere” per uscire dalla zona rossa. Premono a tal punto, che immediatamente il governo cala i pantaloni – o la gonna, perchè non è che sia tanto maschio – per convocare subito la famosa riunione on-line, una delle innumerevoli, tanto da rendere inevitabile un’ingenua domanda, e restare in collegamento permanente, senza interruzioni, senza soluzione di continuità, così il mercato delle vacche non chiude mai?
In questi mesi di Covid le autonomie regionali ci hanno fornito un sublime spettacolo su come le intendano – e le usino – i baroni locali dei vari territori. A prescindere dalle singole questioni pratiche, il gioco è ormai chiaro, talmente chiaro da risultare infantile: quando c’è da prendere una decisione scomoda e odiosa, si lancia subito la palla al governo centrale di Roma. Quando invece serve qualche comoda scappatoia egoistica, buona per accrescere il consenso sottocasa, le Regioni chiedono di fare in prima persona. In generale, se una cosa non funziona, se non si è fatto quello che andava fatto, o se si è fatto quello che non andava fatto, le responsabilità sono del governo. Se invece qualcosa funziona, anche solo per puro caso, il merito è tutto delle geniali politiche dei governatori. Ad ogni modo, sempre lamentarsi contro il potere centrale, che si mette di traverso, che infila i bastoni tra le ruote, frustrando le luminose e avveniristiche scelte dei bravi governatori. Lasciassero loro le mani libere, allora sì il Covid sarebbe già dimenticato e sepolto.
Mese dopo mese, diretta Facebook dopo diretta Facebook, abbiamo costruito la nostra galleria nazionale di personaggi e di macchiette, notevolmente più popolari di tanti ministri romani e di tanti segretari dei diversi partiti (quel che resta). De Luca e Zaia, Toti e Bonaccini, Fontana e Solinas, Emiliano e Fedriga, eccetera eccetera: ciascuno genio e statista a modo suo, tutti quanti sono in prima fila con una ricetta propria e risolutiva. Uno ce l’ha rossa e la vuole arancione, uno ce l’ha arancione e la vuole rossa (l’ultimo, l’Abruzzo). Quando il governo non chiude, loro volevano chiudere già il mese prima. Quando il governo chiude, loro giudicano persecutorio il provvedimento di chiusura.
Vedi questa maledetta storia delle zone multicolori: ci stanno spiegando i tecnici che per evitare favoritismi, clientele, trattative sottobanco si è scelto un criterio oggettivo con 21 indicatori scientifici, che difatti i governatori adesso pretendono diventino solo 5, comunque un modo automatico per scavalcare qualunque tentazione di volgare mercanteggiamento. Ma proprio i governatori sembrano gli ultimi a volerla capire. Ancora adesso, sono qui a premere per uscire da una zona ed entrare nell’altra, come se fosse un capriccio umorale di qualcuno, magari di quell’inetto del Conte, piazzare una regione nella zona rossa piuttosto che nella verde. Dice: sono quelli del centrodestra che usano il Covid per boicottare un governo dell’altra sponda. Non è esatto: tanto per fare nomi, il toscano Giani, Emiliano, Bonaccini, in quota filogovernativa, fanno esattamente lo stesso.
Diciamolo, a qualunque sponda si appartenga: il giochetto del Covid è smaccato e puerile, consiste nel lisciare il pelo ai propri sudditi creduloni che spingono per uscire da una certa zona, e pazienza se questo non dipende da una trattativa tiraemolla come per i consigli di amministrazione delle municipalizzate, ma dai 21 indicatori oggettivi. La gente deve sapere e credere che i governatori hanno chiesto, hanno premuto, è colpa del governo se non si riapre.
Vogliamo ammetterlo? Tutto questo è insopportabilmente penoso. Aggiunge pesantezza a una situazione già pesante. Ma un pregio, quanto meno, se lo porta dietro: il giochetto da asilo Mariuccia ci dimostra una volta per sempre come la venerata autonomia locale, che per mezzo secolo ci ha fatto da stella polare e stella cometa, non sia tutta questa conquista. Provandola sulla nostra pelle, si fa sempre più forte la tentazione di rimpiangere un robusto indirizzo centrale, non dico sovietico per non bestemmiare, ma comunque con polso fermo e schiena dritta. Su sicurezza, scuola, sanità, fisco, acqua, energia, telecomunicazioni e grandi opere, meglio che comandi uno soltanto, eletto ovviamente dal popolo sovrano. E se non ci sa fare, quando arrivano le elezioni si rispedisce alla pastorizia.
Ma i governatori star, in rima con zar? Poveracci, non vanno mortificati. Proprio no. Per la loro vanità, basta e avanza l’autonomia di una pagina Facebook.